Gli antenati del Pd, secondo Scalfari

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In chiusura di un corposo saggio pubblicato sulla sua la Repubblica, Eugenio Scalfari ripropone in una battuta quel che a suo giudizio sarebbe il codice genealogico del Pd, com’è o meglio come vorrebbe che fosse. Menziona come capostipiti Gobetti, i fratelli Rosselli, non ricordo se anche Dorso, Spinelli; poi, con un salto acrobatico, plana su Enrico Berlinguer, salutato ed incensato come il vero trasformatore del Pci, da partito tardo comunista a partito socialista democratico. Ora, col massimo rispetto per un uomo sicuramente geniale che a novantacinque anni mantiene una invidiabile lucidità, c’è da osservare come la ricostruzione appare per lo meno parziale. I nomi citati non sono assolutamente collocabili fra i fondatori o sostenitori del Pci, ma appartengono tutti alla cultura democratica, sia pure con intonazioni e stili diversi. A prescindere dal tradizionale richiamo a Marx, Engels, Lenin, nonché al nostrano Labriola, il Pci venne
fondato nel gennaio del 1921 a Livorno durante il XVII Congresso del PSI, da Bordiga e Gramsci, con una scissione promossa dalla Russia bolscevica, tanto da assumere il nome di Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale comunista.

Ma, poi, c’è un seguito, costituito dalla segreteria assunta da Palmiro Togliatti, dopo la morte di Gramsci, mentre era in esilio a Mosca, che guidò il Partito clandestino, seguendo alla lettera le piroette di Stalin, dalla condanna senza appello per i socialdemocratici strumenti del nazifascismo ai fronti popolari, dalla denuncia spietata del regime hitleriano al consenso acritico al patto Rippentrop-Molotov. Tornato in Italia, quello passato alla storia come il “migliore”, rientra nel sistema, legittimato dal contributo determinante dei comunisti nella lotta partigiana e dalla c.d. “svolta di Salerno”, con rinvio della scelta fra Regno e Repubblica alla futura consultazione elettorale. Cambiata la denominazione del partito in Pci, sì da far immaginare quella che sarà poi teorizzata come la “via italiana al socialismo”, continua a sostenere la politica russa di occupazione dei paesi dell’Europa orientale e della penisola balcanica, le c.d. democrazie socialiste, a cominciare dal golpe in Cecoslovacchia, che contribuì a fargli perdere nettamente le elezioni politiche del 18 giugno 1948, dando origine a quella conventio ad excludendum poi consolidatasi negli anni successivi. Ispirò, tramite la cinghia di trasmissione imposta alla Cgil, scioperi generali e manifestazioni di massa contro il piano Marshall, la Nato, la nascente Comunità economica europea. Dopo la morte di Stalin e la pubblica requisitoria di Krusciov, ebbe modo di coprire come controrivoluzione la tragedia dell’Ungheria; e solo poco prima della sua morte, mostrò qualche resipiscenza con il memoriale di Yalta. Giusto, quindi depennarlo con un lungo silenzio dalla lista dei padri, più o meno come l’Enciclopedia sovietica faceva sparire le voci degli epurati, soppressi senza lascia traccia o costretti a auto-incolparsi, in pubblici processi di essere nemici prezzolati della rivoluzione, che intanto aveva mutato ambito, dal socialismo in tutti i Paesi al socialismo in un solo Paese. Saltato a piè pari anche tutto il dopo-Togliatti, Scalfari atterra su suo profeta preferito, di certo un personaggio di grande rilievo morale e politico, ma che, a pochi anni dal tracollo del muro di Berlino, si arrischiò a dire che la spinta propulsiva della rivoluzione di ottobre si era esaurita, senza tener conto che questa spinta propulsiva si era espressa, in Russia, con la dittatura sanguinaria di Stalin e, negli altri paesi dell’Europa continentale, con la costituzione di Parti comunisti, la cui propaganda antisocialista e rivoluzionaria ha giocato una parte importante nell’avvento del fascismo e del nazismo.

Giustizia vorrebbe si attribuisse ad Occhetto, con la sua svolta della Bolognina, culminata nel fondamentale cambio della denominazione del partito, da Pci a Ds, la vera trasformazione che ha poi caratterizzato tutta la storia successiva, fino all’attuale Pd. Ma Occhetto è diventato ormai l’innominabile, l’uomo che fece un lavoro assolutamente necessario, ma sporco, lasciandosi alle spalle la denominazione comunista. Con Berlinguer finisce l’albero genealogico di Scalfari, senza spendere una sola parola sugli eredi, probabilmente perché a suo giudizio non la meritano. De minimis non curat praetor.                                    fonte  http://www.atlanticoquotidiano.it