Gozi: “Europa e Covid: perché la società della prudenza è meglio di quella a zero rischi”

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Viviamo in un momento darwiniano. In questi momenti, non vince il più forte, ma colui che dimostra di avere la migliore capacità di adattamento e di trasformazione: capacità che l’Unione ha dimostrato di avere con il Recovery Plan, faticando invece su sanità e suo ruolo nel mondo.

Prendiamo per esempio la questione dei vaccini dell’Unione europea. Nel bel mezzo di una crisi sanitaria senza precedenti, l’Ue si è trovata costretta a inventarsi un modus operandi in un settore da sempre nelle mani dei governi nazionali. Ogni passaggio di questa strategia è stato quindi concertato con quegli stessi governi, che hanno indicato le priorità strategiche e controllato i negoziati dei contratti di fornitura dei vaccini. Eppure, il dibattito si limita a uno scontro tra tifoserie che si confrontano ferocemente.

Al momento, la polemica è tutta concentrata sui prezzi più bassi e sulle responsabilità delle aziende sui rischi collaterali: chiesti dagli europei, cioè dalla Commissione, su richiesta di vari governi tra cui l’Italia e che hanno in parte allungato i tempi (ricordiamo però che se AstraZeneca avesse fornito i 120 milioni di dosi anziché 30 in realtà gli europei non avrebbero accumulato particolari ritardi rispetto a britannici o americani).

Credo che la priorità fosse la velocità e non i prezzi e credo anche che avremmo dovuto assumere più rischi, nei contratti e dando molti più soldi alle industrie europee per accelerare la ricerca dei vaccini. Ma il punto è: perché gli europei non lo hanno fatto? La ragione di fondo è la totale avversione al rischio delle nostre società: vogliamo vivere nell’illusione di una società a «0 rischi» e quindi non ce ne assumiamo, applicando in modo rigido il principio di precauzione, che diventa un principio di interdizione, di paralisi e anche uno scudo per i responsabili pubblici rispetto ad attacchi giudiziari sempre presenti.

Così, nessun rischio sui prezzi dei vaccini (… sai mai che la Corte dei Conti o la stampa…) e nessuna vera scommessa sulle capacità dell’industria di realizzare l’impensabile, come ad esempio un nuovo vaccino in meno di un anno (… ci vorrà molto più tempo…). Chi ha scommesso sulla ricerca e chi ha rischiato nei contratti è qualche settimana davanti a noi.

Allora, non impantaniamoci nelle solite polemiche e chiediamoci se le nostre società sono pronte ad assumersi più rischi di fronte alle emergenze. E se alla «società 0 rischi» non vada preferita una filosofia diversa, quella della «società della prudenza» che ci ha insegnato Aristotele.

Poi, certamente, diamo anche all’Unione quei poteri per agire con più efficacia e rapidità per la nostra salute: poteri che non aveva all’inizio della crisi e che potremmo conferirle attraverso la Conferenza sul futuro dell’Europa che comincerà il 9 maggio prossimo. Lo stesso discorso si adatta perfettamente all’incidente diplomatico ormai noto come Sofa-gate. Questo evento ha dimostrato che l’Ue deve assolutamente rafforzare la capacità di adattarsi alle nuove sfide globale in un mondo in cui i rapporti di forza stanno cambiando molto rapidamente.

Dunque, si potrebbe evitare di spulciare il protocollo diplomatico per cominciare invece a dibattere sul vero tema: come ci proiettiamo sulla scena globale? L’Unione ha una rappresentanza politica efficace? La risposta è ovvia: no, perché si proietta all’esterno in modo frammentato, e quindi inadeguato e inefficace. Ora, pensiamo ai vantaggi che deriverebbero da un(a) presidente unico(a) dell’Ue. Già oggi, senza cambiare i trattati, potremmo affidare alla stessa personalità i poteri dei presidenti del Consiglio europeo e della Commissione: potremmo cioè avere un presidente unico dell’Unione. Una decisione da prendere subito: perché è urgente adattarci e perché è inutile parlare di un’Europa sovrana su questioni che sfuggono alla capacità di azione degli Stati (dalle pandemie e clima al governo del digitale o alla sicurezza…) e poi non adattarsi e non darsi i mezzi per agire e venire percepiti come sovrani.

La potenza non è più quella di una volta, e le «potenze nazionali» sono sempre più impotenti innanzi alle sfide transnazionali che, come racconto nel mio ultimo libro Il Bersaglio, rischiano di seppellire la civiltà europea in un mondo che potrebbe reinventarsi tra Washington e Pechino. Ma questo rende necessario affrontare l’altra questione di fondo: il distacco tra sovranità e Stato e la costruzione di poteri sovrani a un livello sovranazionale, per recuperare une vera capacità di controllo e quindi ritrovare insieme una vera sovranità, sia essa sanitaria, industriale o di politica estera e di sicurezza.

Meno precauzioni, meno avversione al rischio allora; più sovranità europea e poteri transazionali: così ci adatteremo alle trasformazioni e diventeremo più forti nel mondo. Per citare JFK, cambiare è la regola della vita e quelli che guardano solo al passato o al presente, certamente perderanno il futuro. Le capacità di adattare con lungimiranza le risposte che daremo oggi alle sfide davanti a noi, determineranno il nostro futuro come europei.