Hammamet, un film per discutere e magari riconciliarci con il socialismo

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Se il film Hammamet sta facendo discutere, a me pare un buona cosa. Un Paese può dotarsi di una condizione più matura, se riesce ad affrontare il “rimosso” della propria storia, facendone racconto trasparente, specie quando si tratta di pagine controverse. Un film è sempre reinvenzione; inutile pretendere una piatta adesione ai fatti. I cinéphile, comprensibilmente, non mancano di evidenziare i limiti della sceneggiatura del film di Gianni Amelio, l’incongruenza di qualche scena, la fragilità di alcuni personaggi.

Ma Gianni Amelio ha visto giusto nel provare a rivisitare gli ultimi mesi di Bettino Craxi e, stando al riscontro di pubblico, anche chi ha prodotto il film. Tema: il dramma umano di un politico, Benedetto Craxi, detto Bettino, nato a Milano il 24 febbraio 1934, morto ad Hammamet il 19 gennaio 2000, per alcuni un esule. In realtà un latitante. Per nessuno, credo, innocente. In ogni caso, una delle maggiori personalità che hanno retto le sorti della Repubblica nel secondo dopoguerra.

Al suo fianco, gli affetti familiari, in particolare la figlia e il nipote, più discosti la moglie e il figlio; figlia e nipote, inscritti nella memoria dell’eroe dei due mondi, lei col nome di Anita (Livia Rossi), il piccolo indossa un berretto garibaldino, scambia cenni di saluto militare col nonno, dal quale ascolta i racconti sull’impresa dei Mille, riproducendo, con i soldatini disposti sulla spiaggia, la vicenda di Sigonella. Intorno a questo nucleo, alcune figure-simbolo, rappresentative di mondi, in forma di sineddoche, ovvero della parte per il tutto: un’amante (Claudia Gerini), un esponente del mondo politico (Renato Carpentieri), che fanno visita a Craxi in Tunisia.

Questo cerchio stretto si allarga solo a comprendere il rapporto con il tesoriere Vincenzo Balzamo (Colli di Volturno, 3 aprile 1929 – Milano 2 novembre 1992), colpito da un infarto alla vigilia del processo, ma della cui morte, nel film, è il figlio ad assumersi la responsabilità. In apertura le parole scambiate tra Balzamo (Giuseppe Cederna) e Craxi a margine del 45° congresso del PSI, a Milano, tra il 13 e il 19 maggio 1989, sotto il palco a piramide dell’architetto Panseca: Balzamo avverte, con preoccupazione, la crisi incipiente, Craxi lo ascolta senza prenderlo realmente sul serio.

Il figlio di Balzamo, Fausto (Luca Filippi), turbato e perturbante, si introduce poi furtivamente nella casa di Hammamet, presidiata dalle guardie tunisine, viene catturato, condotto al cospetto di Craxi, che lo riconosce, nonostante il travisamento del volto dipinto di nero e, abbracciandolo, lo accoglie come un figlio, come un altro figlio, nella piena coscienza del pericolo che egli può rappresentare. Con lui ingaggia un confronto, accetta di essere ripreso con una piccola telecamera, restituendo allo spettatore una specie di diario postumo. Il figlio di Balzamo esprime, a suo modo, l’Italia del giudizio morale su Craxi, insieme a quella tendenza all’antipolitica che da allora ha condotto alla situazione presente. Dal primato di una politica segnata da tanti errori all’abdicazione della politica.

Dal film affiora, con chiarezza, l’ipocrita fedeltà al capo quando era potente, la miscela di viltà e ferocia dopo la perdita del potere. Sia prima sia dopo una lotta politica senza esclusione di colpi.

Nonostante ciò che è stato scritto, in Hammamet non risultano accenti apologetici, agiografici. Le colpe di Craxi, tutte messe bene in chiaro, senza reticenze, sono il presupposto stesso del racconto. Quelle caratteriali: l’ego ipertrofico (in politica, in buona compagnia), la smisurata arroganza (pure), la non dissimulata spregiudicatezza (anche). Quelle politiche: l’aver impostato e pragmaticamente assecondato una forma-partito con un’etica pubblica a bassissima soglia, come altri partiti, del resto, ma in forme, semmai, ancora più esplicite, insieme non già alla divisione della sinistra, ma al suo ulteriore inasprimento. Infine, a suggello, quelle giudiziarie: a partire dalla vicenda di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, arrestato in flagrante, il 17 febbraio 1992, per aver ricevuto una tangente da una ditta di pulizie, dapprima considerato da Craxi un “mariuolo”, senonché da quell’episodio, apparentemente secondario, con effetto a palla di neve, prende slancio l’inchiesta Mani pulite nell’ambito della quale contro Craxi vengono pronunciate due sentenze che, tuttora, non lasciano margini a dubbi.

E’ evidente come Gianni Amelio abbia cercato di evitare di prestare il fianco agli strali di moralisti e giustizialisti. Questo non significa che moralisti e giustizialisti non intendano perdere l’occasione per pronunciare ulteriori sentenze. Altre monetine dopo quelle davanti all’Hotel Raphael. Solo che, nello Stato di diritto, hanno titolo a pronunciarsi soltanto i giudici nei Tribunali. Il ruolo della giustizia non è in discussione. E’ nota la denuncia che Craxi fece il 3 luglio 1992 chiamando in correità tutto il Parlamento. In questione, la laica rappresentazione di una persona afflitta dalla malattia.

Favino non interpreta Craxi. E’ Craxi. In tal modo, facendolo rivivere. Il mimetismo introspettivo della sua straordinaria epifania attoriale è non solo nelle pieghe del volto, nell’orientamento dello sguardo, nel gesto delle dita che toccano la grande montatura degli occhiali, nella goffa prossemica del corpo, nell’incedere affaticato del passo, nell’inflessione della voce, nelle proverbiali pause e negli altrettanto insistiti silenzi.

Favino restituisce la ruvidezza del personaggio, la sbrigatività, il senso di superiorità, i congedi bruschi, i repentini cambi di umore, i toni minacciosi, l’insofferenza per la condizione in cui si trova, sino al piacere fisico per la pasta o per i dolci arabi. Craxi, il Grande Antipatico, rivela alcuni tratti di umanità che ne completano il profilo. Siamo talmente immersi nella melassa empatica che due ore antipatizzanti aiutano a riflettere.

Ma a vent’anni dalla scomparsa di Bettino Craxi è giusto riprendere anche il filo di una riflessione politica sulla sua figura. Nelle elezioni politiche del 20-21 giugno 1976 la Dc di Benigno Zaccagnini ottiene il 38,71% dei voti. Il Pci di Enrico Berlinguer raggiunge il suo massimo storico: il 34,37%. Il Psi di Francesco De Martino scende sotto il 10%, scivolando al 9,64 %. De Martino si dimette, al Midas Craxi emerge, insieme ad un nuovo gruppo dirigente, all’inizio come primus inter pares, più tardi come dominus.

Nell’arco di un decennio il Psi raggiunge il suo massimo storico nelle europee del 1989 col 14,8% – un limite che diventa invalicabile – e, proprio mentre va crollando il Muro di Berlino e va aprendosi una pagina nuova nella vicenda politica internazionale, il PSI si chiude in un patto di potere con la Democrazia Cristiana, a guida dorotea, sino all’affermazione dell’acronimo CAF (Craxi Andreotti e Forlani), in una fase in cui si accentuano due fenomeni: il progressivo aumento del debito pubblico e un sistema dei partiti sempre più soffocante, asfissiante, cristallizzato. L’Italia, unico caso, in Europa, in cui sotto le macerie del Muro di Berlino rimangono le forze del campo occidentale.

Aspra la divisione tra i due partiti della sinistra, Pci e Psi. Anche se questo non ha impedito, sul territorio, una collaborazione al governo di Enti locali e Regioni che ha avuto caratteri di buon governo. Per una persistente damnatio memoriae non viene adeguatamente riconosciuto il contributo socialista. Una stranezza: i socialisti non di rado anticomunisti, i comunisti non di rado antisocialisti, più discordi che concordi, tuttavia capaci di unire le forze trovando, nella diversità, punti di sintesi e di intesa. Un insegnamento che rimane.

Successivamente, a causa dell’accentuarsi di quei motivi di contesa, la transizione italiana non ha potuto avere un esito “socialdemocratico”. Tuttavia, Craxi ha rappresentato una stagione, non ha esaurito un patrimonio; il confronto con quella storia non finisce con lui e merita di essere rivisitato per quanto criticamente. Sarebbe paradossale ritrovarsi nel socialismo europeo, rimanendo estranei a quello italiano.

Oltre che a vent’anni dalla morte di Craxi ci avviciniamo al centenario del congresso di Livorno (15-21 gennaio 1921), sapendo che molto è stato fatto, altro resta da fare per ricomporre quella ferita. Non vi è dubbio che vi siano state ragioni storiche, allora, la rivoluzione d’Ottobre, con tutto ciò che ne è seguito, ma quelle ragioni, nel corso del secolo, sono radicalmente mutate. Qui, forse, è qualche spunto, su cui ragionare senza l’assillo dell’ultimo tweet, qualora davvero si vada in direzione di una costituente della sinistra che sappia farsi non solo contenitore ma anche contenuto dotato di un’identità.

Nella colonna sonora di Hammamet anche la canzone Cento giorni della socialista Caterina Caselli e A modo mio di Lucio Dalla amico di Craxi e della sua famiglia. Toccanti le musiche di Nicola Piovani, un pastiche sulle note dell’Internazionale.