“Ho visto andarsene il maestro, il prete, i compagni. Ecco la mia Bergamo ferita”

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«L’immagine dei camion militari con le bare è stato un colpo al cuore. Ma la ferita è molto più profonda di quel che si vede: i numeri forniti dai sindaci descrivono un disastro senza precedenti».

«Ho visto andarsene conoscenti, compagni di partito, il maestro storico del mio paese, il prete degli ultimi, don Fausto Resmini, e tanta gente attiva nel volontariato».
Ha visto l’ospedale da campo alla Fiera?

“È quasi finito. «Sì, in meno di due settimane il grido di dolore dei bergamaschi si è trasformato in un’opera di soccorso straordinaria: 14o posti, di cui 72 in terapia intensiva e gli altri in sub intensiva. Quello che hanno fatto Alpini e artigiani, di cui tantissimi tifosi atalantini, insieme al personale sanitario e ai volontari, rimarrà impareggiabile».

Cosa dice degli aiuti del governo?

«Bene, andranno rafforzati. Ma non tutte le province sono state coinvolte allo stesso modo. Serve un sostegno straordinario per le terre più colpite: Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza. Ci batteremo perché questo contributo straordinario di emergenza arrivi già nel decreto di aprile».

Si è fatto un’idea del perché Bergamo sia diventata la provincia martire del virus?

«Non ancora, ed è un interrogativo che ci rimarrà addosso per tanto tempo. Qui siamo dinamici e globalizzati, grande capacità di muoverci, lavorare. Forse il nostro punto di forza ci ha esposti di più».

L’ospedale di Alzano potrebbe aver fatto da vettore al contagio, con il Pronto soccorso chiuso per Covid19 e riaperto dopo 20 ore senza sanificazione. Qualcuno invoca una commissione d’inchiesta, è d’accordo?

«C’è anche il dovere della verifica, certo, ma prima si deve superare la fase critica. In questo momento condivido l’appello di tanti amministratori a restare uniti, non dobbiamo distogliere l’attenzione dal primo fronte».

Gli ospedali scoppiano, i malati vengono dimessi con la polmonite e il territorio non è in grado di far fronte all’assistenza domiciliare. Che fare?

«Abbiamo ospedali d’eccellenza, ma una rete sanitaria territoriale troppo fragile. Fino a poco tempo fa i medici di base erano considerati una categoria superata. L’emergenza ci ha fatto capire che c’è bisogno di una sanità di prossimità non più riconducibile solo al grande ospedale».

Ora c’è il problema del ricambio dei medici stremati.

«Bisogna alzare di brutto i meccanismi di solidarietà fra Regioni. A breve arriverà la seconda squadra di medici della task force di Protezione civile, mi dicono una cinquantina. Bergamo deve avere la priorità. Lo dicono i numeri, non il campanilismo».

L’ossigeno c’è, mancano però i contenitori.

«Stiamo cercando di rilanciare l’ipotesi operativa di hub territoriali per l’ossigenoterapia. A Reggio Emilia, in pochi giorni, ne sono nati 62. A Bergamo, dove pure sono attivi, l’Arma dei carabinieri ha fatto un lavoro grandioso insieme alla Protezione civile e gli amministratori locali recuperando più di 2 mila bombole in emergenza. Ma è chiaro che dobbiamo mettere a sistema un altro modello: organizzare un servizio territoriale, dall’ossigenoterapia al ricovero dei malati in casa, per provare a prendere l’emergenza a monte, quindi sul territorio, più che a valle, negli ospedali».