I partiti non hanno capito che la musica è cambiata

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Per capire le mosse di Mario Draghi, bisogna ricostruire il passaggio più intenso delle ultime ore. Metà pomeriggio, salone delle consultazioni della Camera. «Presidente – insiste a un certo punto la delegazione del Pd – se allarghi troppo il tuo esecutivo rischi di non riuscire a dare le risposte che servono e di passare la vita a mediare». Non è un veto esplicito alla Lega, formalmente solo un richiamo all’omogeneità programmatica.

Ma è un modo cortese per chiedere di escludere Matteo Salvini, senza fornire alibi al leghista. «Vi ringrazio per la franchezza – è la replica pacata del premier incaricato, secondo quanto riferiscono fonti dem – La sintesi la faccio io. Poi però naturalmente starà a voi dire se questa sintesi è ripugnante o meno. E fare le vostre valutazioni ». Significa: fidatevi del mio profilo, della mia storia, del mio europeismo. Ma significa anche: deciderò io, poi ognuno si assumerà la responsabilità di una scelta. La calma di Draghi, in ore così frenetiche, stride parecchio con l’agitazione dei partiti.

Eppure l’ex presidente della Bce si muove così, un tassello dopo l’altro, avvicinandosi ogni giorno di più all’obiettivo che si è prefisso: un governo di legislatura che comprenda tutti, o quasi. Anche la Lega, se possibile.

Non metterà veti su nessuno, come detto. Ma stilerà un programma marcatamente europeista. Indipendentemente dai confini della maggioranza, il suo obiettivo è quello di un esecutivo che arruoli anche ministri politici. Almeno uno per ogni forza, in modo da blindare una maggioranza tanto eterogenea. Poi, certo, ci sarà molto spazio per tecnici in posizione chiave.

Secondo quanto circola ai massimi livelli dei partiti, potrebbero trovare spazio Franco Bernabé e Vittorio Colao, mentre Dario Scannapieco guiderebbe Cdp, in alternativa al Tesoro. Muoversi con cautela e senza fretta significa anche, per Draghi, riservarsi tutta la prossima settimana per sondare le parti sociali, organizzare un secondo giro di consultazioni, stilare la lista di ministri e presentarsi alle Camere. Quest’ ultimo passaggio è presumibile che non avvenga prima del week end. Il tempo serve anche a consumare una serie di passaggi politici. E a spegnere fuochi di resistenza allo schema scelto in sintonia con il Colle: nessuna formula politica per il nuovo governo. Una, a dire il vero, ci sarebbe e ci sarà, vista la tradizione e i legami storici del Paese: quella europeista.

Di certo, l’ex banchiere centrale offrirà alle forze giallorosse una piattaforma che metta al centro il Recovery e il piano vaccini, senza il quale non sarà possibile – sostiene – uscire dalla crisi. Nello stesso tempo, però, non porrà veti di principio sul Carroccio. Lo si capisce da come continua a ragionare con tutti. Affiancando alle consultazioni in corso anche lunghi colloqui telefonici.

Nelle ultime ore ha sentito tutti i leader, Salvini compreso. E tra i leghisti, nessuno nega che il candidato ministro naturale sia Giancarlo Giorgetti. Eppure, restano almeno tre ostacoli lungo il suo cammino. Il primo è proprio Salvini. Il leader potrebbe assecondare l’ala “giorgettiana”, ma sfilarsi all’ultimo secondo, preoccupato dalla concorrenza di Meloni. È il sogno di Zingaretti. Il secondo problema si chiama Movimento: per adesso non ha posto il veto sul Carroccio, ma potrebbe farlo, lasciando il Pd in una posizione insostenibile. Il terzo è, appunto, il Partito democratico.

Anche Draghi ha toccato con mano i tormenti dem. A loro, preoccupati dagli effetti dell’emergenza Covid, non ha negato la realtà: «Nessuno può prevedere» con precisione gli scenari dei prossimi mesi, ha spiegato, né immaginare come e a che ritmo ripartiranno i consumi, visto che la pandemia è circostanza rara. Ma al Nazareno interessa anche costruire uno schema politico sostenibile, che passa dalla coalizione “Ursula”: fuori Salvini e dentro Berlusconi.

In astratto, potrebbe anche bastare per un esecutivo solido, che è il primo obiettivo di Sergio Mattarella. E potrebbe garantire quell’omogeneità su cui certamente il premier ha ragionato con il Quirinale negli ultimi giorni. Ma la Lega sembra davvero orientata a partecipare.

E allora tocca a Zingaretti provare a mettersi di traverso. Chiederà a Draghi risposte ai dossier più spinosi, dall’immigrazione a quota cento e al fisco, in modo da “allontanare” Salvini. Il premier incaricato reagirà facendo la sintesi, ma favorendo la massima condivisione possibile.

A quel punto, sarà il segretario del Pd a decidere se spingersi fino al punto ipotizzato in queste ore: votare la fiducia, ma promuovendo soltanto ministri tecnici d’area, senza politici dem. Un granello di sabbia nell’ingranaggio “politico” che ha in mente il premier. Ma anche un rilancio che rischia di infrangersi contro le divisioni interne al Pd, dove solo una minoranza dei gruppi risponde al segretario. (Tommaso Ciriaco – la Repubblica)