I piedi d’argilla

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Furono annunciati all’inizio dell’anno da un Luigi Di Maio dimissionario, ma gli Stati Generali del M5S hanno dovuto cedere il passo all’emergenza sanitaria. Tuttavia, mentre il Movimento degli eletti si disfaceva in parlamento sotto la pressione dell’interesse privato, il capo politico pro-tempore e il vertice 5 stelle sono riusciti ad organizzare un confronto tra migliaia di attivisti. E’ veramente un peccato che sia stata solo una tempesta in un bicchiere d’acqua, che il documento finale sia una paginetta generica e sterile che non aveva bisogno di centinaia d’ore di convegno. Nulla è cambiato. Ma il vizio, il peccato, era già all’origine della storia del M5S.

Spesso si è detto che fossero intellettuali della mutua, Beppe e Gianroberto, mentre tracciavano le linee di un’azione politica onesta e moderna. E in effetti lo erano, poiché se avessero letto di più Gramsci, non sarebbe venuta loro l’idea di fondare un movimento “post-ideologico” con l’ambizione di cambiare la società, né avrebbero evitato strenuamente di trasformarlo in partito quando si fosse presentata l’occasione. Essi erano diffidenti della propria creatura, così come lo erano della democrazia, nonostante osannassero il popolo e pretendessero maggioranze assolute. Da allora riuscirono a mettere in campo molti strumenti per combattere la corruzione, ma a tutt’oggi manca il più importante, “il Principe”, il luogo politico dove non si inseguono le maggioranze, ma l’egemonia, dove non si selezionano curricula, ma idee per un ordine nuovo.

L’incapacità di interpretare fino in fondo la struttura sociale è stata ad esempio causa della fiducia cieca nella magistratura, una fesseria che il Movimento farà bene a estromettere al più presto dal suo genoma. L’incapacità di individuare gli obiettivi politici, che poi si chiamerebbe ideologia, ha creato fin da subito una struttura verticista, un apice senza legame con la moltitudine dei tifosi. E la fiducia (per fortuna teorica) nel popolo e nella sua saggezza, ha causato l’incapacità di selezionare una vera classe dirigente. Poiché il solo legame col territorio e l’elenco delle abilità civili dei candidati sono insufficienti a isolare rappresentanti capaci di trasformare la società. Il M5S è diventato un cartello elettorale afflitto dalla lotta per la selezione, oppresso dalle logiche campaniliste, e in mano a bande autoreferenziali gelose del loro cartello.

E’ vero: nel Movimento non capiterà mai che una MariaElena Boschi possa essere mandata a Bolzano per essere eletta, ma non capiterà nemmeno che un F. De Sanctis possa essere rappresentante del collegio di Sansevero, invece che della sua Sant’Angelo dei L. Insomma, la mancanza del laboratorio, non solo impedisce la formazione delle idee, ma anche di far politica ai fuori sede; impedisce di scegliere una classe schiettamente politica (capace cioè di ricevere un mandato dalla base), ma consente solo di esprimere il miglior curriculum della provincia. Questo sta succedendo in quel movimento che, dichiarando di essere post ideologico, ha fatto sfilare sui tavoli tematici mille idee, ottime e neutre, per governi che non attenteranno mai all’ordine sociale. Anni fa mi dicevo che quando il M5S sarebbe stato maggioranza molti furbacchioni sarebbero saltati sul carro del vincitore. Ma questa, non è più una circostanza futura.                                                                                                                                         (Giuseppe Di Maio)