I seicento anni della cupola del Brunelleschi

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Otto ottobre 2020: compleanno di una mirabile “signora”.

FIRENZE – Per questo compleanno d’eccezione sentiamo la necessità artistica e culturale, oltre che umana, di un ricordo ricco di tante curiosità, di sapere tecnico e di… invidie e incomprensioni… (persino il carcere) per l’artefice della cupola di Santa Maria del Fiore.

L’ardimento tecnico che ha permesso questo audace e significativo esempio di architettura del primo Rinascimento, opera del grande Filippo di ser Brunellesco Lapi – ammirato e rispettato ancora oggi dagli architetti di tutto il mondo – merita essere conosciuto in tutta la sua completezza. Esso sotto intende un lungo travaglio temporale – dal 1420 al 1446 per Brunelleschi, e dopo la sua morte per il figlio adottivo Andrea di Lazzaro Cavalcanti – ed umano: tutti si aspettavano, fino all’ultimo momento, il crollo di questa cupola; quasi nessuno credeva nel suo artefice, circondato da lotte ed invidie da parte degli altri due “capimastri”… Insomma, tutto quello che sta dietro alla venuta al mondo della nostra bella ed unica “creatura” merita di essere conosciuto nella sua unicità.

Lo facciamo ora, dopo aver letto il bel libro di Sergio Givone (Fra terra e cielo, Milano, Solferino, 2020, (190) ), da cui abbiamo attinto le notizie, tutte vere!

Dunque …c’era una volta a Firenze una chiesa molto antica dedicata a Santa Reparata… Dovete sapere che Arnolfo di Cambio, architetto e scultore (Palazzo Vecchio di Firenze…), incaricato della sua ricostruzione, aveva previsto una “cupola” con 8 vele su base ottagonale, insieme piramidale e semisferica. Purtroppo nel 1302 egli muore e l’opera incompleta diviene fonte di vergogna per i fiorentini. Brunelleschi, per capire il segreto di quell’arte romana che aveva innalzato il Pantheon, raggiunge Roma con Donatello; vorrebbe recarsi anche in Egitto e a Bisanzio per vedere Santa Sofia e le piramidi, ma poi è costretto a desistere.

Tornato a Firenze, propone all’adunanza cittadina – che annaspa, senza trovare nessuno disposto a terminare i lavori – la sua idea di concludere “con una volta a spicchi, come stanno le facce, e darle la misura e il sesto del quarto acuto”, senza armatura, perché si reggerà per forza propria, ispirandosi in questo alla copertura del vicino Battistero, che ha appunto 8 triangoli uguali alla sua cima. Lor signori non solo lo deridono ma lo fanno letteralmente volare fuori, salvo poi – nessuno accettando l’arduo impegno – dargli, qualche settimana dopo, l’incarico. Ma, non fidandosi di lui, gli affiancano due altri capimastri: Lorenzo Ghiberti e Battista D’Antonio.

Il nostro Filippo predispone il cantiere, recluta gli operai, acquista tutto il materiale necessario ed ordina la creazione di alcune fornaci che lavorino solo per lui a produrre mattoni, embrici e coppi.

E’ così attento al benessere degli operai (ma anche ai tempi di costruzione) che fa predisporre piccoli forni per cuocere lo stufato sugli spalti del tamburo, e botticelle di vino, per evitare che gli stessi perdano tempo a scendere e salire. Non solo, organizza tutta una serie di accorgimenti (balaustre, cinghie, spazi di sicurezza…) tesi ad evitare incidenti (…e non c’erano ancora i Guariniello a spaventare!…). Ciò nonostante l’unico incidente mortale accaduto fa scappare gli operai per “…la troppa sicurezza sul lavoro …”; lui li licenzia tutti e ne assume altri dalla Lombardia.

Quando quelli si rendono conto di cosa realmente è successo vogliono tornare; il maestro li riassume, sì, ma a paga dimezzata!

Tutto procede bene, al punto che Ghiberti fa credere di essere lui a comandare e che non sia, come è nei fatti, tutto frutto della genialità del Brunelleschi. Allora accade una cosa curiosa ma efficace: arrivati al punto di elevazione in cui il rischio di crollo è altissimo, Filippo “si mette in mutua”. Nessuno in sua assenza sa come procedere… A questo punto salta fuori tutta l’incompetenza di Ghiberti e lui viene richiamato… però, alle nuove condizioni. Non più a 3 fiorini d’oro al mese ma a 100 l’anno e con la piena responsabilità dei lavori, quale “Inventore della cupola”.

C’è un termine toscano noto in tutta Italia per definire una persona sciocca: “bischero”; ora vi spieghiamo il perché. Nel corso dei lavori per la parte terminale della cupola di quella che è ormai chiamata Santa Maria del Fiore si verifica un intralcio: la presenza di una torre appartenente ad una famiglia locale, i Bischeri. Brunelleschi li contatta e chiede al capofamiglia, Barnaba, il permesso di abbatterla, con l’impegno di ricostruirla più alta e più bella, impegno accompagnato da un lauto compenso per il disturbo, ma questi rifiuta. Interviene allora Cosimo de’ Medici in persona, che gli promette una casa nuova degna della nobiltà della sua famiglia ed in più una villa,… per il disturbo…: la risposta è ancora no. Alcuni giorni dopo un “accidentale” incendio distrugge la torre e Barnaba viene accusato di manovre sediziose contro la repubblica di Firenze, e condannato all’esilio per 10 anni.

I lavori procedono… giunti quasi in cima, però, sono pochi coloro che credono che quella immensa struttura possa reggere (a pensarci oggi che compie 600 anni, la cosa fa sorridere…); allora occorre… eliminare quell’incosciente architetto… il quale nel 1434 viene arrestato per “non aver pagato la tassa di iscrizione all’Arte della Pietra e del Legname” e rinchiuso in carcere per 6 mesi… (sic!). Scontata la pena, Filippo ritorna nel cantiere e si fa affiancare dal figlio Andrea che riuscirà, finalmente, dopo la morte del padre avvenuta nel 1446, a 40 dalla posa della prima pietra, a terminare quel gioiello di architettura senza tempo. Ma lo farà solo dopo una diatriba immane, imponendo la posa sulla cima della cupola della pesantissima lanterna in marmo che non farà cadere l’intera struttura – come sostenevano i detrattori – ma col suo peso, distribuendolo sui lati, darà la necessaria stabilità all’intera opera.

Quando rivedremo Firenze, ora che sappiamo tutto questo, guardiamo con più ammirazione quel gioiello, quindi, pensando un po’ ai patimenti (interiori oltre che esteriori) di quel genio che fu Brunelleschi, sofferti per dar vita a “quell’immensità”, gloria di Firenze e dell’Italia, che ancora oggi – nello sky-line della città signorile – domina su uomini e cose con la sua grandezza.

Franco Cortese Notizie in un click