Il campo profughi d’Europa va a fuoco

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Abbiamo denunciato fin troppo spesso le incredibili condizioni del campo profughi di Moria a Lesbo, il campo delle Nazioni Unite progettato per ospitare 3000 persone, sull’isola greca, ma che si era trasformato in una immensa tendopoli in cui si stimava vivessero almeno 12mila persone, di cui migliaia di minori, anche non accompagnati. Il tutto aggravato dall’apertura dei confini turchi, allo scadere dell’accordo da 6 miliardi che come UE era stato stipulato con Erdogan.

Vari incendi negli anni erano già divampati, quelli di questi giorni mettono il punto a quella che si può definire “il fallimento dell’accoglienza UE”. Dobbiamo infatti, come stati membri, prendere davvero in mano una situazione che, come detto spesso, ci riguarda tutti. Ad oggi circa 400 minori sarebbero stati redistribuiti sulla terraferma, mentre il governo greco sta correndo ai ripari allestendo un nuovo campo sull’isola e sta fornendo assistenza e cibo attraverso l’arrivo di navi. Il tutto in piena emergenza Covid, non dimentichiamo anche questo. La Germania auspica una redistribuzione, altri stati fanno finta non interessarsi alla cosa, altri ancora dichiarano che di questi profughi non accoglieranno neanche uno. Bruxelles deve prendere in mano la situazione, e serve la collaborazione di tutti i governi.

Una cosa infatti è chiara: la Grecia non può essere lasciata sola a gestire questa emergenza, che necessita di una riflessione europea. L’area del Mediterraneo tra Grecia, Cipro, Turchia, Libia, contesa tra le varie potenze, vede il problema dei migranti al centro, che non è l’unico. I nostri colleghi europarlamentari, come Laura Ferrara, ricordano che il famoso “pacchetto”, che comprende anche riforme sul fenomeno migratorio, non è ancora stato presentato, ma dovrebbe finalmente arrivare in Commissione.

Quanto successo a Moria è una tragedia annunciata; quanto accaduto era prevedibile ed era evitabile, ma solo se vi è maggiore cooperazione, sensibilità e rispetto di quanto previsto dai trattati da parte di tutti i paesi membri dell’Ue. Serve una strategia condivisa subito, a lungo termine, perché non possiamo permettere che disastri come questi si ripercuotano su paesi già provati dalla crisi economica in piena pandemia. Che Bruxelles reagisca immediatamente.

Yana Ehm