«Il conto della crisi si è scaricato su salari e stipendi, non sulla capacità delle imprese di generare ricchezza»

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Apre così un articolo di due giorni fa pubblicato sul Il Sole 24 Ore online, a firma Barbara Ganz, dove si da conto di una ricerca pubblicata dalla Fondazione Claudio Sabattini sui bilanci di tutte le aziende attive con più di 50 dipendenti nel territorio dell’autonomia differenziata (nell’area di Milano per la Lombardia, di Reggio Emilia per l’Emilia Romagna e il Veneto) nei settori delle «attività metallurgiche, la fabbricazione di prodotti in metalli (esclusi macchinari e attrezzature), la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, la fabbricazione di apparecchiature elettriche, la fabbricazione di macchinari e apparecchiature nca, la fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi, la fabbricazione di altri mezzi di trasporto, la riparazione e installazione di macchine e apparecchiature».

La ricerca, commissionata dalla Fiom veneta, mostra dei risultati che sono l’esempio di una delle espressioni con cui si manifesta l’“odio di classe”: in Veneto, gli utili aziendali nel periodo 2010-2018 sono cresciuti del 100%, i salari tre volte meno (+37%); se invece si fa riferimento al triennio che va dal 2015 al 2018 – in pratica dal Jobs Act in poi – il profitto padronale è cresciuto del 40%, i salari di appena il 5%.

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