Il governo ha un piano geniale per Alitalia: flotta ridotta e mille licenziamenti

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Roma – Due miliardi e mezzo in quindici anni. E’ questa la somma spesa, dal 2005 ad oggi, per tenere a galla Alitalia, confezionarla e impacchettarla con l’obiettivo di procedere speditamente ad una sua cessione. Due anni di mancati investimenti e risorse gettate al vento, senza peraltro che un qualsiasi acquirente seriamente interessato bussasse alla porta.

Logica vorrebbe che, se la strategia fin qui seguita non ha funzionato, si procedesse con la valutazione di strade diverse. Cambiato il governo, non è cambiata però la storia della nostra compagnia di bandiera, alle prese con l’ennesimo prestito ponte che molto probabilmente arriverà a scadenza (giugno 2020) senza che si sia cavato il proverbiale ragno dal buco. Nel frattempo, le opzioni al vaglio sono sempre le stesse e parlano di una società la cui già compromessa situazione viene resa ogni giorno più agonizzante.

Alitalia perde due milioni al giorno. Questo il dato di fatto: il vettore è letteralmente decotto e si tiene in piedi solo grazie ai generosi contributi costantemente elargiti dai vari esecutivi fin qui succedutisi. L’ultima dotazione parla di 400 milioni di euro, sommati ai 900 milioni già accordati nell’arco degli scorsi anni.

A cosa serviranno queste ulteriori risorse? L’obiettivo è quello di tagliare i costi all’osso, per rendere Alitalia il più “appetibile” agli occhi dei potenziali investitori. Se però, accanto ai costi, si tagliano (o non si ampliano) le fonti di ricavo, allora il rischio è quello di seguire la strada che, mutatis mutandis, per i conti pubblici prende il nome di austerità, i cui effetti sperimentiamo dal 2011 ad oggi sulla nostra pelle.

Il taglio dei costi, infatti, stando a quelle che sono le prime indiscrezioni dovrebbe sostanziarsi in una riduzione della flotta, che già oggi conta 20 velivoli in meno rispetto al 2017. Verrebbero di conseguenza a mancare almeno mille posti di lavoro, oer i quali si sta pensando ad incentivi come il prepensionamento. In questo modo, oltre alle spese vive del personale, si ridurrebberp i canoni di leasing degli aeromobili non di proprietà – Alitalia paga fra il 20 ed il 30% per questo tipo di contratti rispetto ai prezzi di mercato – ma allo stesso tempo si va anche a incidere sul fatturato complessivo, mentre manca qualsiasi prospettiva di medio termine sul lungo raggio, l’unico segmento del trasporto aereo sul quale ancora esistono margini di guadagno. Degli aeromobili adatti a coprire le tratte intercontinentali, peraltro, Alitalia ne dispone solo 7, mentre ulteriori 19 sono in leasing.
Alitalia ha bisogno di investimenti

La domanda, a questo punto, non è più peregrina: con i 2,5 miliardi bruciati nell’ultimo decennio e mezzo, che flotta si sarebbe potuta costruire? Considerando un prezzo medio di 250 milioni per ogni aereo di lungo raggio, fanno in totale 12 velivoli. Si sarebbe insomma quasi azzerata la quota di quelli in leasing, abbattendo notevolmente i relativi costi mensili che oscillano fra i 20 e i 28 milioni di euro. Potendo godere, nel frattempo, di un parco mezzi rinnovato, magari meno costoso da mantenere rispetto all’attuale, riducendo così ulteriormente gli esborsi. Forse non azzerando la succitata perdita da 2 milioni al giorno, ma riducendola notevolmente e portandola ad un valore molto più sostenibile rispetto al buco nero di oggi. Certo, una strategia di questo tipo avrebbe richiesto anzitutto coraggio, in secundis la capacità di fare politica industriale. Merce rara, nell’Italia in svendita.                                                       fonte  https://www.ilprimatonazionale.it/

Filippo Burla