Il grande inganno della flat tax

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“L’Istat ha rivisto la crescita economica al ribasso, questo ci dice quanto sarà fragile la risposta che il nostro governo invierà all’Unione europea”. Così Maria Cecilia Guerra, docente di Scienza delle finanze all’università di Modena e Reggio Emilia, ai microfoni di RadioArticolo1 nella trasmissione Economisti erranti. L’esecutivo, prosegue, “dirà che ci sono segnali di rafforzamento dei nostri conti pubblici, ma non è plausibile”.

Il problema, a suo avviso, “non è tanto la Ue ma proprio lo scenario in sé: siamo in una situazione difficile, non possiamo aderire a una ipotesi di diminuzione del debito pubblico così forte come le regole impongono. Le indicazioni che arrivano dal governo – intanto – sono esattamente in linea con ciò che è stato fatto finora: niente lotta all’evasione fiscale ma al contrario condoni, che sono gli strumenti che incoraggiano i comportamenti scorretti”. Il continuo reiterarsi dei condoni, di fatto, “dà ragione a chi almeno aspetta a pagare l’imposta, per verificare se in futuro può avere degli sconti. L’altra linea governativa è fare spese in deficit, come se questa fosse una possibilità a cui si può attingere in modo indefinito. È l’esatto contrario: il deficit aumenta molto il debito pubblico”.

L’economista si sofferma quindi sulla flat tax: “Operare una riduzione del gettito fiscale finanziandola in disavanzo significa portare sempre più i conti pubblici verso il dissesto – a suo avviso -. Nei Paesi con la flat tax la spesa sociale è più bassa del 9% rispetto alla media europea: questo vuol dire che la riduzione indiscriminata delle tasse porta meno welfare, ovvero colpisce chi ha più bisogno. I ricchi possono pagarsi da soli lo stato sociale, meno imposte per tutti significa meno spesa sociale per chi non può permetterselo”.

Guerra riflette anche sulle altre misure economiche del governo. “Quello che chiamiamo reddito di cittadinanza non lo è, quota 100 non è una quota – dice -: così si crea solo confusione, c’è un messaggio politico studiato ad arte perché non hanno un progetto, non sanno di cosa parlano e questo rende difficile anche discuterne”. Serve una riforma fiscale complessiva, e sul tema del fisco è necessario uno sforzo per uscire dal recinto dei singoli Stati: “Abbiamo un problema di tipo europeo e internazionale – spiega l’esperta -, per esempio c’è il nodo della multinazionali: producono in Italia e contribuiscono poco al fisco italiano, spostano i costi dove l’aliquota è più conveniente. Si impone sempre più – dunque – la necessità di un coordinamento anche sovranazionale”.