Il marxismo filosofico in Italia dopo Gramsci

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In Italia, sebbene il marxismo occidentale abbia avuto, in particolare negli anni sessanta, un notevole successo fra gli intellettuali, mancano figure del rilievo di quelle tedesche o francesi, che analizzeremo nei prossimi articoli. Nel marxismo italiano, sino agli anni sessanta, resta del resto preponderante l’influenza esercitata dai Quaderni del carceredi Gramsci e il tentativo di superare dialetticamente la concezione neoidealista crociana sulla base di uno storicismo assoluto. Grande regista di tale politica culturale è stato Palmiro Togliatti (1893-1964), formatosi insieme a Gramsci e suo successore alla guida del Partito comunista italiano. Togliatti è stato inoltre il principale artefice della pubblicazione e diffusione delle opere mature di Gramsci nel secondo dopoguerra.

Pur rimanendo sempre legato all’Unione sovietica, Togliatti riuscì nel difficile compito di autonomizzare progressivamente la linea politica e soprattutto ideologica del Partito comunista italiano dal controllo esercitato dallo stalinismo. In tal modo, riuscì a svincolare il PCI dal Dia-Mat sovietico, riuscendo nella difficile impresa di attirare nell’orbita del partito un numero crescente di intellettuali di origine borghese. A tale fine, seguendo alcune indicazioni dei Quaderni di Gramsci – da lui fatti pubblicare a partire dal 1947 – riuscì a costruire un blocco sociale grazie all’egemonia esercitata dall’avanguardia del proletariato su ampi strati della società civile.

Il pensiero di Gramsci, mediato dall’edizione togliattiana dei Quaderni, avrà per almeno due decenni una profonda influenza tanto sul piano politico, quanto sulla storiografia, la letteratura sino alla pedagogia, all’antropologia e alla linguistica. Ciò fu reso possibile dall’elaborazione di un’efficace politica culturale del PCI, sotto la direzione di Togliatti, incentrata sullo storicismo assoluto di Gramsci e volta alla formazione di un blocco sociale anche attraverso la ricostruzione di una tradizione culturale in cui il socialismo divenisse il naturale sbocco della cultura progressista italiana da Galilei a De Sanctis. Tale capacità di egemonia non fu, talvolta, in grado di recuperare al proprio interno la corrente culturale più legata alle avanguardie, come dimostra la celebre polemica con il «Politecnico» di Vittorini.

Accanto a tale linea, dominante fino agli anni sessanta, se ne svilupparono altre in cui il marxismo è stato reinterpretato nel confronto con le principali correnti filosofiche europee e statunitensi del XX secolo (l’esistenzialismo, la fenomenologia, l’epistemologia), da cui la cultura italiana non era stata significativamente permeata a causa in primo luogo della politica culturale autarchica del fascismo e, in secondo luogo, per l’egemonia della cultura crociana e gramsciano-togliattiana nel dopoguerra.

Sostenitore di un razionalismo critico, Antonio Banfi (1886-1957), con la rivista Studi filosofici da lui diretta sin dal 1940, stimolò una sofisticata ricerca culturale che si specificò, attraverso la sua scuola, nei diversi ambiti delle scienze filosofiche. Formatosi in Germania, studiando in particolare il neokantismo e seguendo i corsi di Rimmel e Husserl, ha poi insegnato a Milano dal 1930 al 1957. Partigiano dopo l’otto settembre, si avvicina al marxismo e al partito comunista di cui sarà anche parlamentare nel dopoguerra. Sin dagli anni del fascismo, Banfi ebbe un ruolo innovatore nella stantia cultura italiana inserendo nel dibattito culturale tendenze filosofiche come il neokantisno, la fenomenologia e la filosofia della cultura. Egli innesta nella sua formazione umanista-storicista e nella sua concezione del mondo improntata alla ragione critica, in cui il neokantismo si applica alla filosofia della cultura, il marxismo. Di contro alla ragione dogmatica, la ragione critica non pretende di giudicare secondo categorie astratte la dinamica della cultura, ma ne segue la vita concreta nelle sue molteplici sfaccettature. Il filosofo è un fenomenologo della cultura, un attento e rigoroso analista delle forme concrete che assume la vita culturale, da Banfi analizzata nelle sue differenti determinazioni: la morale, il diritto, la pedagogia, l’arte e l’epistemologia. La cultura è per Banfi umanizzazione del mondo e l’oggettività della ragione è la vita stessa dell’umanità. La moderna società borghese ha creato per Banfi le condizioni, grazie all’enorme sviluppo delle scienze e della tecnica, per il dominio dell’uomo sulla natura e per condizioni di vita dignitose per l’intero genere umano. Tuttavia, la distribuzione ineguale della ricchezza prodotta fa sì che anche la cultura borghese dalla fine dell’ottocento si configuri come cultura della crisi, che rielabora in diverse forme intellettuali, ma al contempo subisce in modo passivo e cela ideologicamente. Se la filosofia neokantiana costituisce una sorta di antidoto interno alla cultura della crisi, in quanto con la sua ragione critica ne denuncia gli esiti dogmatici, il marxismo consente di individuare la radice sociale della crisi.

Oltre alle ricerche di estetica portate avanti da Banfi e la sua scuola, le due linee più significative di questa contaminazione fra marxismo e correnti filosofiche contemporanee sono quella sviluppata da Giulio Preti (1911-1972), volta al confronto con l’empirismo logico, l’epistemologia e il pragmatismo, e da Enzo Paci (1911-1976) che muoverà nella direzione di un rinnovamento del marxismo alla luce dell’esistenzialismo e della fenomenologia. In particolare Paci, professore di filosofia a Pavia e Milano e direttore della rivista Aut aut, da lui fondata nel 1951, riprende da Banfi l’interesse per l’analisi dei rapporti fra vita e ragione, due insiemi egualmente complessi e multiformi. Muovendo dall’esistenzialismo, colti i limiti del concetto di esistenza si dedicò a sviluppare il concetto di relazionalità dell’esperienza, derivato da Whitehead, inteso sulle orme di Dewey principalmente come processualità e interazione intersoggettiva. Da qui Paci si accosterà alla fenomenologia di Husserl, da lui interpretata quale riflessione critica alla ricerca del senso del reale e dei prodotti culturali, indagando le connessioni profonde fra il mondo precategoriale della vita e quello categoriale del pensiero. Tali temi saranno infine ripresi e sviluppati, dopo l’approdo al marxismo, approfondendo il mondo precategoriale alla luce dei bisogni concreti degli individui sociali e la relazionalità alla luce dell’alienazione capitalista.

I due principali esponenti del marxismo occidentale in Italia possono essere considerati Galvano della Volpe (1895-1968), la cui interpretazione risente della tradizione del materialismo empirista e Cesare Luporini (1909.1993). La linea filosofica marxista, alternativa allo storicismo gramsciano-togliattiano, che ha avuto maggiore successo è stata quella di Della Volpe. Formatosi a contatto con l’attualismo gentiliano, passa al marxismo nel secondo dopoguerra, sostenendo l’esigenza di separare nel modo più netto quest’ultimo dalla filosofia hegeliana, da lui considerata romantica e mistica.

Sin dai suoi primi contributi al marxismo – tra cui occorre in particolare ricordare La libertà comunista (1946) – Della Volpe mostra il proprio interesse precipuo per le sovrastrutture, indicando come l’eguaglianza sociale propugnata dai comunisti non sia da considerare in opposizione, ma quale compimento delle libertà politico-civili per cui si era battuta la borghesia, nella sua fase ascendente. Successivamente, in Logica come scienza positiva (1950) Della Volpe cerca di delineare il modello epistemologico marxiano lungo una linea materialistica i cui assi portanti sarebbero Aristotele, Galilei e Kant, di contro ad ogni tentativo di conciliare Marx con Hegel. Dal metodo di Marx sarebbero dunque bandite ogni forma di deduzione a priori del pensiero, in nome dell’autonomia della materia, di contro al presunto solipsismo logico della filosofia hegeliana che, sulla scia dell’idealismo platonico, riterrebbe il reale una parvenza dell’ideale. Come avrebbe già compreso il giovane Marx sin dal 1843, prendendo da allora definitivamente le distanze dallo hegelismo, i concetti astratti di Hegel sono solo apparentemente indipendenti dall’esistente, ad esempio le istituzioni dello Stato prussiano, che finiscono per recuperare al loro interno in modo acritico. Si tratta di una difficoltà propria di ogni metodo deduttivo e formale, a cui occorre contrapporre con Marx l’analisi rigorosamente scientifica, in quanto storicamente ed empiricamente determinata. Occorre muovere sempre dal concreto e poi per via induttiva, attraverso le astrazioni logiche, giungere al concetto da cui sarà possibile tornare al concreto per via deduttiva. Solo mediante la logica determinata dell’oggetto determinato diviene possibile, sulla strada aperta da Marx, indagare anche l’ambito storico-sociale con un’epistemologia rigorosa in cui ogni ipotesi sia sperimentabile.

Con il suo Rousseau e Marx (1957) Della Volpe ritorna al tema della libertà, mostrando come fra le libertà individuali della tradizione liberale e quelle sociali del marxismo si situi quale termine medio l’idea di democrazia moderna di J. J. Rousseau. Nella Critica del gusto (1960) Della Volpe da una parte porta avanti una concezione dell’estetica radicalmente contrapposta a quella crociana, dall’altra mediante il concetto di polisenso mira a distinguere la peculiarità del discorso poetico dal discorso scientifico.

Va, infine, ricordato Ludovico Geymonat (1908-1991) che, sin dagli anni venti-trenta del novecento, ha cercato di contrastare la sottovalutazione del dominante neoidealismo italiano nei confronti degli studi epistemologici e di filosofia della scienza. Fu il primo in Italia ad avere all’università una cattedra di filosofia della scienza. Dapprima influenzato dal neopositivismo, nel secondo dopoguerra coglie i limiti del suo formalismo logico-linguistico e opera in funzione di una rifondazione critica del metodo scientifico che lo avvicinerà sempre più al marxismo. Le costruzioni scientifiche secondo Geymonat non hanno mai un valore conclusivo e definitivo, ma hanno un carattere essenzialmente dinamico. Perciò occorre indagare, come insegna lo storicismo marxista, la storicità delle teorie scientifiche e come insegna il materialismo storico i contesti storico sociali e culturali in cui tali riflessioni sono sorte.

Dopo la sua piena adesione al marxismo Geymonat si richiamerà alla concezione realista della scienza esposta da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo, intendendo il vero come approssimazione continua alla realtà oggettiva dei fenomeni, in una prospettiva sempre aperta di progresso della conoscenza scientifica. Infine, richiamandosi direttamente alla Dialettica della natura di Engels, Geymonat si sforzerà di portare a termine una revisione critica del materialismo dialettico, ritenendo che, depurato da alcuni residui metafisici, possa costituire un quadro epistemologico utile allo sviluppo della filosofia della scienza contemporanea.

Per quanto riguarda il marxismo italiano contemporaneo, su cui non ci possiamo dilungarci in questa breve storia del marxismo filosofico, ci limitiamo qui a ricordare due grandi filosofi, recentemente scomparsi, ovvero Domenico Losurdo, certamente il più grande storico delle idee e Stefano Garroni presumibilmente il più significativo dal punto di vista teoretico.                                                                                              fonte