Il ministro Franceschini ha risposto alle critiche per la chiusura di teatri, cinema, sale concerto

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Ha spiegato che la decisione si è resa necessaria perché il numero di contagi rischia di produrre conseguenze drammatiche e nessuno può ignorarlo. Ha aggiunto che spera la chiusura duri il più breve tempo possibile e che i cosiddetti ristori a esercenti, produttori, artisti, maestranze, saranno rapidi e rivolti a tutti.

Gli operatori del settore dal canto loro stanno illustrando alcuni dati. Su 347.262 spettatori registrati in 2.782 spettacoli (lirica prosa danza concerti) censiti da metà giugno a inizio ottobre vi è stato un solo positivo. Una tendenza simile per chi ha frequentato le sale cinematografiche.

Può darsi che la norma decisa ieri sia in parte legata alla mobilità nelle città. Se non puoi andare al cinema o a teatro starai più probabilmente a casa come raccomandato dal governo.

Resta che vi sono altre uscite di casa (e relative presenze altrove) consentite, Walter Veltroni giustamente si è chiesto quale logica consenta le messe ma neghi in condizioni di totale sicurezza di alzare un sipario o fare buio in sala e accendere un proiettore.

Ognuno può farsi l’idea che ritiene più sensata, mi limito a una sola considerazione.

È forte l’impressione che la cultura nelle sue espressioni sia vissuta una volta di più come il necessario che può facilmente trasformarsi in superfluo. Qualcosa che serve a distrarre o “divertire” (come a maggio ebbe a dire il premier).

Ma non è così.

Sì, certo che le pareti di un teatro o lo schermo bianco che ti trovi davanti sono anche una parentesi nella fatica del tempo dato, ma da un paio di migliaia d’anni (la prima cosa) e un secolo e passa (la seconda) sono prima di tutto l’ancoraggio del pensiero, dello spirito critico, di un’etica comune.

E questo in una stagione che per dovere incrina la socialità, l’agibilità degli spazi per la comunità, la cultura, la didattica, diventa un aspetto importante se non vogliamo ritrovarci un paese sempre più snervato e diviso.

Aiutare gli operatori colpiti e chi ha fatto della cultura un presidio di civiltà è decisivo.

Ma decisivo è anche rialzare prima che si può quei sipari e restituire alle persone, ai ragazzi, la serenità e la ricchezza di una storia raccontata sullo schermo.

Come diceva quello? “Con la cultura non si mangia”.

Aveva torto.

Ma peggio è dimenticarsi che senza cultura la vita si fa più povera.E contro quella povertà un ristoro efficace non l’hanno ancora inventato.