Il peso nascosto del cibo industriale favorisce l’obesità

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di viveresostenibilelazio

I cibi industriali, fanno ingrassare e contribuiscono all’obesità. Sotto accusa i prodotti pronti al consumo, chiamati anche cibi ultra-trasformati, come piatti precotti confezionati, merendine, snack, ma anche i cereali per la colazione che portano ad assumere più calorie rispetto a una dieta sana, a parità di grassi, zuccheri, sale e proteine contenute nelle due diete. Sembra addirittura che alcuni di questi prodotti, influenzando il senso di sazietà, portino a mangiare di più.
Molti esperti sospettavano che l’aumentato consumo di cibo industriale (alimenti altamente lavorati con aggiunta di ingredienti di sintesi) negli ultimi 50 anni abbia un ruolo primario nell’epidemia di obesità. La conferma è arrivata da diversi studi negli ultimi due anni. Il professore di Nutrizione e salute pubblica dell’Università di San Paolo, in Brasile, Carlos Monteiro, ha elaborato il concetto a partire da un’osservazione condotta sui consumi alimentari della popolazione: mentre calavano gli acquisti di zucchero e grassi, aumentavano il tasso di obesità e la diffusione del diabete di tipo 2. Il focus di indagine si è spostato così sull’industria di trasformazione alimentare scoprendo come zuccheri e grassi avessero trovato un nuovo modo di arrivare alle tavole dei brasiliani. Dal suo studio è emerso che prodotti come le crocchette di pollo del fast food, le salsicce vegane, zuppe e hamburger pronti, le barrette proteiche per gli sportivi spesso contengono elevate quantità di zuccheri, grassi e sale, con l’aggiunta di additivi in abbondanza per migliorarne la palatabilità.
Una ulteriore dimostrazione l’ha data in seguito un esperimento di Kevin Hall (del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases statunitense), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Metabolism. Per la prima volta in questo studio è stata eseguita una sperimentazione clinica controllata su 20 volontari per vedere cosa succede se si mangia solo cibo industriale o si segue un’alimentazione sana, a parità di nutrienti contenuti nelle due diete. I 20 volontari hanno alloggiato per un mese nei laboratori dove potevano consumare tre pasti al giorno più snack e acqua in bottiglia, tutto a volontà, mangiando prima per due settimane la dieta ultra-processata e poi per le seguenti due la dieta sana o viceversa. Dopo 14 giorni chi ha mangiato solo cibo industriale è ingrassato in media di un chilo e ha mangiato una media di 508 calorie in più al dì. Chi ha seguito la dieta sana ha perso in due settimane, un chilo di massa grassa. Restano da capire i meccanismi in gioco. Probabilmente grazie a consistenza e sapore, il cibo industriale porta a mangiare più in fretta, ingannando quindi il senso di sazietà.
A questo punto nasce la curiosità di sapere quanto sono entrati nella nostra alimentazione quotidiana questi prodotti. La risposta viene ancora da un altro studio condotto in collaborazione con diversi atenei europei, che ha analizzato l’incidenza dei cibi ultra-trasformati in 19 nazioni dell’Europa. Il cibo non lavorato a livello industriale o processato in minima parte nella cucina di casa, per gli europei rappresenta il valore medio del 33,9% delle calorie totali. Quello lavorato poco, cioè ottenuto con qualche ingrediente industriale ma preparato sempre in casa arriva al 20,3%, mentre quello industriale ancora fedele all’originale il 19,6%. In ultima posizione troviamo gli alimenti ultra-processati, composti quasi unicamente da ingredienti di origine industriale come estratti, paste vegetali o animali aromatizzate e così via coprono il 26,4%. Il consumo più basso di questi alimenti si è registrato in Portogallo (10,2%) e in Italia (13,4% ). Seguono Grecia al 13,7%, Francia al 14,2%, Croazia al 17,9%, Spagna al 20,3%. Spostandosi dal Sud verso il Nord Europa la situazione si capovolge e i valori negli altri Paesi si collocano all’interno delle fasce più estreme: in Germania la percentuale schizza al 46,2% e in Gran Bretagna arriva al il 50,4%. L’Irlanda è al 45,9%, la Polonia al 36,9%, l’Austria al 35%.Il Sud Europa dunque rimane fedele ad un regime dietetico più naturale e fedele alla dieta mediterranea che l’Italia esporta in tutto il mondo. Verdura e frutta, carboidrati naturali, cereali e legumi, olio d’oliva e una cucina essenziale, insieme a stagionalità e produzioni locali restano infatti l’alternativa sostenibile a questi prodotti nella lotta al sovrappeso e all’obesità infantile e degli adulti.