Il poliziotto, l’immigrazione e lo sciacallo

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Da uomo di sinistra non sono indifferente al grido di dolore di un lavoratore, costretto ad operare in quei non-luoghi che sono i CPR (centri di permanenza per i rimpatri), spesso peggiori, per squallore e sovraffollamento, delle carceri.

E quindi, prima di tutto, solidarietà al poliziotto, lavoratore feritosi per causa di servizio.

Ma il fatto ci racconta molto altro.

Ci sono luoghi, nel nostro paese, in cui le persone straniere vengono rinchiuse, private della libertà personale, senza necessariamente essersi macchiate di reati ed essere per questo giudicati da un Tribunale: è la detenzione amministrativa dei cd. clandestini (corretto è definirli irregolari), un buco nero etico e giuridico del nostro sistema, introdotto, ricordiamolo per onestà intellettuale, dai ministri Turco e Napolitano nel 1998.

Persone rinchiuse non perché volontariamente ostili al rispetto delle regole ma perché impigliate loro malgrado nelle maglie strettissime del proibizionismo migratorio che ispira la nostra legislazione.

La prigionia (senza reato e senza processo), “grazie” ai politici paladini della moda securitaria che si sono succeduti al Viminale, oggi può durare fino a 180 giorni.

Immaginate 180 giorni di cattività in luoghi come quelli, in condizioni di segregazione e deprivazione morale e materiale.

E immaginate la tensione che può sorgere nelle relazioni umane tra carcerieri e carcerati…

I CPR andrebbero aboliti e sostituiti da misure rispettose della dignità umana (di tutti i soggetti di quel doloroso microcosmo): rimpatri volontari e assistiti, percorsi di recupero e integrazione e, solo come extrema ratio, accompagnamento alla frontiera.

Di questo dovrebbe discutere una politica seria, fedele ai valori della civiltà giuridica del nostro paese e all’umanesimo che ne è alla base.

E invece l’occasione è ghiotta per i politici sciacalli, pronti ad approfittarne per seminare paura e quindi raccogliere consenso.

Dobbiamo saper parlare a quel poliziotto e alle sue legittime rivendicazioni, che sono quelle di lavorare in condizioni più sicure e dignitose.

E dobbiamo parlare a quei cittadini che sono pronti a bersi tutte le immonde cazzate che escono dalla bocca dello sciacallo.

È dura, ma ci tocca ed è una sfida che la sinistra non deve avere timidezza o paura di affrontare. Da uomo di sinistra non sono indifferente al grido di dolore di un lavoratore, costretto ad operare in quei non-luoghi che sono i CPR (centri di permanenza per i rimpatri), spesso peggiori, per squallore e sovraffollamento, delle carceri.

E quindi, prima di tutto, solidarietà al poliziotto, lavoratore feritosi per causa di servizio.

Ma il fatto ci racconta molto altro.

Ci sono luoghi, nel nostro paese, in cui le persone straniere vengono rinchiuse, private della libertà personale, senza necessariamente essersi macchiate di reati ed essere per questo giudicati da un Tribunale: è la detenzione amministrativa dei cd. clandestini (corretto è definirli irregolari), un buco nero etico e giuridico del nostro sistema, introdotto, ricordiamolo per onestà intellettuale, dai ministri Turco e Napolitano nel 1998.

Persone rinchiuse non perché volontariamente ostili al rispetto delle regole ma perché impigliate loro malgrado nelle maglie strettissime del proibizionismo migratorio che ispira la nostra legislazione.

La prigionia (senza reato e senza processo), “grazie” ai politici paladini della moda securitaria che si sono succeduti al Viminale, oggi può durare fino a 180 giorni.

Immaginate 180 giorni di cattività in luoghi come quelli, in condizioni di segregazione e deprivazione morale e materiale.

E immaginate la tensione che può sorgere nelle relazioni umane tra carcerieri e carcerati…

I CPR andrebbero aboliti e sostituiti da misure rispettose della dignità umana (di tutti i soggetti di quel doloroso microcosmo): rimpatri volontari e assistiti, percorsi di recupero e integrazione e, solo come extrema ratio, accompagnamento alla frontiera.

Di questo dovrebbe discutere una politica seria, fedele ai valori della civiltà giuridica del nostro paese e all’umanesimo che ne è alla base.

E invece l’occasione è ghiotta per i politici sciacalli, pronti ad approfittarne per seminare paura e quindi raccogliere consenso.

Dobbiamo saper parlare a quel poliziotto e alle sue legittime rivendicazioni, che sono quelle di lavorare in condizioni più sicure e dignitose.

E dobbiamo parlare a quei cittadini che sono pronti a bersi tutte le immonde cazzate che escono dalla bocca dello sciacallo.

È dura, ma ci tocca ed è una sfida che la sinistra non deve avere timidezza o paura di affrontare. Da uomo di sinistra non sono indifferente al grido di dolore di un lavoratore, costretto ad operare in quei non-luoghi che sono i CPR (centri di permanenza per i rimpatri), spesso peggiori, per squallore e sovraffollamento, delle carceri.

E quindi, prima di tutto, solidarietà al poliziotto, lavoratore feritosi per causa di servizio.

Ma il fatto ci racconta molto altro.

Ci sono luoghi, nel nostro paese, in cui le persone straniere vengono rinchiuse, private della libertà personale, senza necessariamente essersi macchiate di reati ed essere per questo giudicati da un Tribunale: è la detenzione amministrativa dei cd. clandestini (corretto è definirli irregolari), un buco nero etico e giuridico del nostro sistema, introdotto, ricordiamolo per onestà intellettuale, dai ministri Turco e Napolitano nel 1998.

Persone rinchiuse non perché volontariamente ostili al rispetto delle regole ma perché impigliate loro malgrado nelle maglie strettissime del proibizionismo migratorio che ispira la nostra legislazione.

La prigionia (senza reato e senza processo), “grazie” ai politici paladini della moda securitaria che si sono succeduti al Viminale, oggi può durare fino a 180 giorni.

Immaginate 180 giorni di cattività in luoghi come quelli, in condizioni di segregazione e deprivazione morale e materiale.

E immaginate la tensione che può sorgere nelle relazioni umane tra carcerieri e carcerati…

I CPR andrebbero aboliti e sostituiti da misure rispettose della dignità umana (di tutti i soggetti di quel doloroso microcosmo): rimpatri volontari e assistiti, percorsi di recupero e integrazione e, solo come extrema ratio, accompagnamento alla frontiera.

Di questo dovrebbe discutere una politica seria, fedele ai valori della civiltà giuridica del nostro paese e all’umanesimo che ne è alla base.

E invece l’occasione è ghiotta per i politici sciacalli, pronti ad approfittarne per seminare paura e quindi raccogliere consenso.

Dobbiamo saper parlare a quel poliziotto e alle sue legittime rivendicazioni, che sono quelle di lavorare in condizioni più sicure e dignitose.

E dobbiamo parlare a quei cittadini che sono pronti a bersi tutte le immonde cazzate che escono dalla bocca dello sciacallo.

È dura, ma ci tocca ed è una sfida che la sinistra non deve avere timidezza o paura di affrontare.