Il primo Natale vissuto in Italia è stato triste

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Volevamo tornare a casa in Uruguay ma ci vietarono di partire. Lo abbiamo passato a casa di Guillermo (Giacomazzi) bevendo birra e mangiando noccioline. Sembravamo due scemi”.

I primi tempi difficili in Italia lontano dalla terra madre, un amore per il Salento viscerale che gli ha fatto dimenticare la lontananza dal suo Uruguay.

“Ho portato le maglie di Monaco, Siviglia, Atalanta e Colon, ma non ho mai tolto la maglia del Lecce. Ho sempre amato da morire questa città, anche quando mi hanno venduto ho continuato ad amarla a distanza. Perché Lecce è la mia vita”.

Non una squadra, molto di più, un amore forte che spesso è stato dimostrato con gesti importanti, come il suo ritorno con contratto a tempo indeterminato al minimo salariale.

“Il mio vero stipendio è l’affetto della gente e non il denaro. Per me l’amore dei leccesi nei miei confronti è la cosa più importante. Io ho un grande rispetto per la Curva Nord: so che mi vogliono bene”.

Nel cuore di Chevanton anche l’ultima amara partita con la maglia giallorossa. Sfida contro il Carpi per il ritorno in Serie B, Lecce che deve assolutamente segnare con Chevanton in panchina con un braccio rotto.

“Ricordo bene quella partita, mi sentivo come un leone in gabbia. Mi sono alzato dalla panchina e ho detto al mio allenatore di buttarmi dentro nonostante un braccio rotto. Ricordo che correvo tutto sbilenco, ho lottato, e mi dannavo l’anima. Ho provato a riacciuffare la serie B in extremis trascinando con l’esempio, prima ancora che con la tecnica, i miei compagni. Non ci sono riuscito, perché questo sport spesso e volentieri sa essere davvero crudele”.

La storia d’amore tra Lecce e il Che! Chevanton Javier Ernesto

Fonte: Fox Sports