IL PROPORZIONALE OGGI PER UN BIPOLARISMO MATURO DOMANI

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Nel ‘93 accolsi con entusiasmo l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e sostenni di conseguenza il referendum per eleggere i parlamentari con il sistema maggioritario. Dare agli elettori il potere di scegliere non solo i propri rappresentanti in parlamento ma anche, indirettamente, il capo del governo come accade nella maggior parte dei sistemi democratici occidentali mi sembrava giusto. Giusto e utile. Un elemento di chiarezza, un’assunzione di responsabilità. E soprattutto la teorica garanzia di una maggiore stabilità dei governi.
Per dare frutti maturi la legge elettorale maggioritaria si sarebbe dovuta accompagnare ad alcune riforme costituzionali: sfiducia costruttiva, potere di nomina e revoca dei ministri e di scioglimento delle camere in capo al premier. Le riforme costituzionali non si sono fatte, il maggioritario non ha funzionato gran che, ma è legittimo ritenere che il proporzionale avrebbe funzionato peggio.
Non ho cambiato idea, è cambiato il sistema politico. E attorno al sistema politico italiano sta cambiando il mondo. Un vecchio ordine è morto, un nuovo ordine stenta a nascere. La politica (come la geopolitica) è in stand by; senza bussola, senza radici, senza idee. Ai leader e egli aspiranti tali non resta perciò che abusare di demagogia e propaganda per nascondere dietro sipari colorati il loro imbarazzante vuoto di identità.
Non c’è partito, oggi, che, per scelta, per convenienza o per necessità, non stia faticosamente lavorando alla definizione della propria identità politica e dei conseguenti riferimenti internazionali. Vale per tutti tranne che per Forza Italia, unico partito ad avere una cultura politica precisa. Una cultura e una collocazione oggi molto ambite, a quanto pare. Dobbiamo solo riadattare i principi e le regole liberali a un mondo ormai globalizzato e digitale. Sarà una questione tanto complessa quanto avvincente. Ma non sarà, soprattutto per gli altri partiti, una faccenda breve. Darsi un’identità politica sarà un’opera dolorosa che lascerà sul campo generali e truppe, vecchie bandiere e giovani valori. Serviranno gli intellettuali, gli esperti, il coraggio, l’intuito e la comunicazione. In alcuni casi si materializzeranno partiti sensati guidati da leader che gli corrispondono, in altri casi avremo aborti politici, esperimenti mal riusciti con leader inadeguati, o dimezzati, o fuori posto. Dal risultato di questo processo discenderanno il quadro politico prossimo venturo, le sensibilità e le priorità di ciascun attore sulla scena. Dunque l’anima e la forza dei governi di qui ai prossimi vent’anni.
La partita è enorme. Enorme è la responsabilità. Enorme è anche il rischio, alimentato dalla constatazione che tra i partiti le affinità cultuali non sono ancora un granché delineate e nei partiti le idee appaiono ancora confuse e in conflitto. Congelare ad uno stadio ancora ibrido questo processo per obbligare, col maggioritario, i partiti così come sono ad allearsi tra loro potrebbe generare mostri. Resto affezionato al principio del governo che decide, così affezionato da aver depositato in Senato, come mio primo atto legislativo, un disegno di legge costituzionale per introdurre il semipresidenzialismo alla francese. Ma siamo agli albori di una fase nuova, una fase costituente, e devo ammettere che il ritorno al proporzionale incoraggerebbe il completamento di questo fondamentale lavoro di ridefinizione delle identità politiche di ciascun partito, obbligherebbe i gruppi dirigenti ad approfondire i grandi temi e consentirebbe ai leader di scegliere consapevolmente una precisa politica di governo. Le allenze si farebbero dopo le elezioni, ma si farebbero sulla base di reali affinità politiche.
Continuo a preferire il maggioritario, ma riconosco che col proporzionale ci si presenterebbe un’occasione unica per dare una struttura politica ai partiti creando di conseguenza le condizioni per un bipolarismo maturo. E a quel punto, perché no?, attraverso un referendum potremmo tornare al maggioritario, avendo però dato una mano alla politica e un colpo alla demagogia.