IL RECOVERY FUND?…

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IL RECOVERY FUND? SENZA UN RECUPERO DI SOVRANITA’ INDUSTRIALE, FINIRA’ CON L’ELARGIRE PREBENDE E BENEFICI A SOGGETTI, DALLA FRANCIA ALLA CINA, CHE STANNO COLONIZZANDO I NOSTRI SETTORI MANIFATTURIERI DI PUNTA

LA DENUNCIA DI IVANO TONOLI, SEGRETARIO DI UNIONE CATTOLICA: SCUOLE PARITARIE E TECNICHE TOTALMENTE DIMENTICATE, PROPRIO MENTRE LE PIU’ AUTOREVOLI STATISTICHE INDICANO CHE TRA IL 2021 E IL 2023 DOVRANNO ESSERE FORMATE, PER IL FUNZIONAMENTO DELL’ECONOMIA POST-COVID, ALMENO 700.000 PERSONE CON PROFESSIONALITA’ ORGANIZZATIVE E TECNOLOGICHE APPLICATE E DI CONCETTO MEDIO-ALTE.

LO STESSO NUMERO DI OCCUPATI POTENZIALI, CON PROSPETTIVE STABILI E BEN RETRIBUITE CHE DA DUE ANNI – DA PRIMA DELLA PANDEMIA – RIBADIAMO COME URGENZA NEL NOSTRO LIBRO PROGRAMMA, NEL QUALE TUTTORA PROPONIAMO DI ESTENDERE ALLE ASSUNZIONI GLI SGRAVI FISCALI ACCORDATI AI BENI STRUMENTALI, AL FINE DI FONDARE UNA RIVOLUZIONE ECONOMICA 5.0 INTEGRATA E INTEGRALE, DOVE L’ACCRESCIUTA E NECESSARIA PRODUTTIVITA’ AZIENDALE PORTI AL RISULTATO FINALE DELLA “GENERATIVITA'” DEL LAVORO UMANO COME STABILITO DALLA DOTTRINA SOCIALE CATTOLICA E DAL NOSTRO AMATISSIMO PAPA FRANCESCO

In Italia Parlamenti e Governi, dal 2001 a oggi, hanno causato mancati investimenti pubblici negli assetti industriali per quasi 200 miliardi di euro.

Un dato spaventoso che si ricava in maniera comparativa, e inoppugnabile, accostando la nostra realtà alle principali Nazioni del Continente, contrassegnate da un’analoga vocazione di tipo manifatturiero spiccato, e mettendo in relazione la quota libera di spesa dei vari bilanci statali assegnata ai programmi e ai progetti per il settore cd “secondario” nella somma degli ultimi 20 esercizi finanziari.

Duecento miliardi corrispondono alla cifra del famoso “recovery found” che sulla carta, e con numerose condizionalità in merito al suo utilizzo, la Commissione UE ci ha assegnato per gestire la transizione verso la fuoriuscita dal covid-19 e di cui la parte maggioritaria dovrà essere da noi restituita a Bruxelles; risorse che erano invece presenti in autonomia nelle nostre poste monetarie, con una media di 10 miliardi all’anno, ma che si è preferito destinare a obiettivi di “sotto legislatura” e di breve periodo.

Questo si traduce in un assunto soltanto: si è temuto che una scelta “paziente” a favore dell’industria, da parte dei decisori istituzionali pubblici, producesse effetti non immediatamente apprezzabili dalla pubblica opinione, quindi si è preferito in maniera trasversale far prevalere i capitoli dell’assistenza economica che si sono tradotti in una risposta passiva, né reattiva né proattiva, ai mutamenti globali in campo tecnologico.

L’altra conseguenza è consistita in un ritorno del PIL pro capite a una soglia che è perfino più bassa di quella accertata statisticamente nel 2001.

La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica offre anche in questo caso una serie di strumenti per poter ripartire e, siccome ciò non basta, per poter risalire sia nella capacità di reintegrare le quote di reddito venute meno, ovvero mai createsi, sia nella possibilità “generativa” di questa maggiore ricchezza ricavandola dallo sviluppo di attività, oltre che profittevoli, in grado di intervenire sulle contestuali questioni sociali e ambientali.

Non v’è dubbio, infatti, che – al netto di alcune nicchie di attività manifatturiere che esprimono per le stesse un primato continentale e mondiale dell’Italia – ogni mancato adeguamento della politica industriale alle sopraggiunte opportunità in campo innovativo, provoca, oltre a un indebolimento delle tutele per i lavoratori dipendenti, sui quali rischia di essere fatto ricadere per intero il costo della minor capacità concorrenziale e tecnologica dell’azienda, un peggioramento degli indici qualitativi ambientali, causato dall’obsolescenza di infrastrutture, trattamenti e impianti.

La conferma della concomitanza di questi tre andamenti involutivi si trae, d’altra parte, dalla collocazione del nostro Paese nelle corrispondenti classifiche europee e internazionali, e nel maggior peggioramento relativo sopraggiunto, nel periodo della pandemia, nel rapporto fra PIL e debito pubblico pro capite, con il secondo praticamente arrivato a un livello che nel 2021 sarà quasi doppio del primo nel frattempo ridisceso a 26.000 euro.

Un importo che, uscendo da un ragionamento meramente basato su calcoli mediani, indica un più accentuato calo reddituale a completo carico dei lavoratori sia autonomi che subordinati attivi nelle categorie dal più basso valore aggiunto.

Non soltanto i governi di indirizzo trasversale hanno dilapidato in via progressiva una cifra che oggi dobbiamo richiedere a debito alla UE, ma dalla lista relativa alle ripartizioni dei fondi che si attendono da Bruxelles, emerge in via ulteriore il vizio perpetrato nel corso dei vent’anni trascorsi: la tendenza a concentrare le risorse su capitoli “ancellari” o, tutt’al più, su voci migliorative e “accompagnatorie” per attività industriali che però, in nessun punto del piano di Conte, sono veramente messe in chiaro.

Come se i quattro segmenti di attività altamente qualificanti che vanno dalla componentistica auto alla siderurgia, dalla chimica alla farmaceutica, potessero procedere in autonomia a legislazione vigente e con un puro e semplice sbilanciamento verso forme di assistenza economica incapaci di intervenire sulla ricerca applicata e sulla formazione e rimodulazione delle competenze da portare in dote ai cambiamenti manifatturieri per governarli dall’interno e per collocarli – ai sensi di quanto prescritto dalla Dottrina Sociale – al servizio di quanti lavorano in essi e di quanti dall’esterno ne fruiscono.

Nella prima edizione del nostro libro CATTOLICI UNITI PER BENEDIRE UN’ITALIA NUOVA, esattamente due anni fa, indicavamo nella promozione delle Scuole tecniche, sul modello tedesco, il punto d’incontro fra le mutate – in senso non solo “sistemico” ma “epistemico”, come evidenziato nelle Encicliche – condizioni produttive dell’industria globale, dove va salvaguardato il ruolo protagonista del Made in Italy per quello che riguarda i 4 sopra richiamati settori, e la reale possibilità di restituire dignità al lavoro sotto il profilo della sua stabilità e capacità remunerativa.

Allora, nel 2019, avevamo indicato in 700.000 il numero di allievi che sarebbe stato opportuno, e necessario, iscrivere e ricondurre all’alveo della Scuola tecnica il cui compito è di erogare un’istruzione non esecutiva ma applicativa di concetto verso la qualificazione di figure professionali intermedie fra i normali diplomi e la specializzazione di gamma alta e altissima tipica di alcuni indirizzi universitari.

Ebbene, proprio fra la fine del 2020 e gli inizi del 2021, i rapporti di istituzioni che sono molto autorevoli come l’Unioncamere, così come le previsioni redatte dalle più importanti agenzie private per il lavoro, indicano per il prossimo biennio, cioè entro il 2023, una disponibilità di circa 700.000 posti di lavoro nei settori relativi a biomedicale, salute e assistenza, produzione di macchinari, dove vi saranno sì dei posti a disposizione nell’industria dei servizi, ma in stretta correlazione ai nuovi e diversificati poli industriali.

Soltanto in questa maniera si potranno sviluppare dei soggetti imprenditoriali capaci, con una meno complicata regolamentazione dello Stato, di assicurare assunzioni non precarie e retribuite sugli stessi livelli netti dei più importanti gruppi produttivi di aree leaders come la Baviera in Germania, in quanto in una impresa sana e messa in grado di lavorare e crescere “la creazione di posti di lavoro è una parte imprescindibile del suo servizio al bene comune” e un dovere ribadito dal nostro amatissimo Santo Padre nella “Laudato Si'”.

Non è possibile ragionare in termini diversi, se non accettando, come i populisti e pauperisti hanno deciso di fare, la progressiva perdita della sovranità dell’Italia in diversi segmenti portanti della manifattura, cosicché nella filiera automobilistica l’Italia si ritrova schiacciata fra le strategie di acquisizione aggressiva a opera dei francesi a Ovest (auto) e dei cinesi a Est (trasporto pubblico collettivo), e allora in un contesto regressivo simile il “recovery plan” accresce il debito pubblico sulle spalle dei contribuenti italiani, presenti e futuri, in misura tendente ai 50.000 euro a testa, per procurare sussidi, benefici e provvidenze economiche a operatori con sede legale e fiscale e potere decisionale dislocati al di fuori dei nostri confini.

Noi Cattolici siamo impegnati in una politica industriale che favorisca progetti di “remanufactoring” e che impedisca, per l’anno in corso e per quelli successivi, il rischio che le competenze professionali di centinaia di migliaia di persone, padri e madri di famiglia e giovani, siano derubricate a “scarto” o a “merce” sostituibile. Quanto sta succedendo è il più grande furto di risorse e di futuro al quale mai si sia assistito nel mezzo di una pandemia devastante quanto le due grandi guerre del secolo scorso.

Per questo motivo, una delle nostre proposte principali è stata e tuttora viene confermata nell’integrazione delle politiche per l’industria 4 e 5.0 con una misura fiscale specifica a favore della “generatività” del lavoro umano con gli stessi tassi e coefficienti di deduzione e di detrazione fiscale riconosciuti all’acquisto di beni di tipo strumentale, impianti e macchinari all’interno del medesimo reparto o della medesima azienda, e la possibilità per il datore di lavoro di utilizzare le maggiori detrazioni fiscali, derivate dalle nuove e maggiori assunzioni di manodopera, per sanare per legge ogni pregressa pendenza esattoriale e tributaria e ottenere così la piena e completa riabilitazione a prendere parte al mercato economico legale nonché alle opportunità offerte da bandi pubblici e dal settore dei finanziamenti e creditizio infine liberato dalle restrizioni regolamentari incompatibili con scenari simil-bellici come quelli che stiamo vivendo.

“Di fronte a cambiamenti profondi ed epocali,

i leader mondiali sono chiamati alla sfida di assicurare

che l’imminente “quarta rivoluzione industriale”, gli effetti della robotica

e delle innovazioni scientifiche e tecnologiche non conducano

alla distruzione della persona umana – ad essere rimpiazzata

da una macchina senz’anima – o alla trasformazione

del nostro pianeta in un giardino vuoto per il diletto di pochi scelti.

Al contrario, il momento presente offre una preziosa opportunità

per dirigere e governare i processi in corso e per edificare società inclusive,

basate sul rispetto della dignità umana, sulla tolleranza,

sulla compassione e sulla misericordia”

PAPA FRANCESCO, 30 dicembre 2015