Il reddito di cittadinanza non è solo una politica economica, ma un ideale

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Reddito di cittadinanza:

In Italia, il disincentivo al lavoro non nasce dal reddito di cittadinanza, ma dal fatto che il lavoro spesso non c’è

E quando c’è, è così povero e privo di tutele che è legittimo – e in alcuni casi doveroso – non accettarlo. L’emergenza è rappresentata dall’insufficienza cronica di investimenti nella produzione e nella ricerca. Una carenza che ha gradualmente ridimensionato il settore manifatturiero, mentre il terziario e i servizi hanno assunto un ruolo centrale nel pil italiano, anche se spesso sono caratterizzati da un mercato del lavoro con tutele scarsissime. Da questo punto di vista, il vecchio slogan di Renzi “venite a investire qui che abbiamo i salari più bassi d’Europa”, riflette bene la logica delle politiche che hanno relegato l’Italia a essere un polo logistico e turistico, lasciando che venissero spostati all’estero i principali comparti produttivi. In questo contesto, l’unica garanzia di trovare lavoro è diventata la disponibilità di vendersi al ribasso.

Ripensare la società
Il reddito di cittadinanza nasce precisamente come risposta strutturale a situazioni del genere. In un celebre discorso tenuto a Madrid nel 1930 e poi pubblicato con il titolo Prospettive economiche per i nostri nipoti, l’economista britannico John Maynard Keynes prevedeva che in un’epoca di “disoccupazione tecnologica” come quella in cui viviamo, la sopravvivenza doveva diventare un diritto non condizionato al lavoro. In questo contesto, il reddito di cittadinanza dovrebbe essere concepito come una specie di diritto umano, dicono i documentaristi Daniel Häni ed Enno Schmidt: un tentativo di ripensare le finalità della vita sociale, in un’epoca in cui i posti di lavoro disponibili vengono meno. “Il reddito di cittadinanza non è solo una politica economica, ma un ideale”, scrive la giornalista esperta di economia e politica Annie Lowrey, perché non rimanda solo a una forma di ridistribuzione della ricchezza, ma alla necessità etica di ripensare il senso della nostra vita comune.

La scelta è capire se alla fine di una pandemia che ha duramente esacerbato le debolezze del mercato del lavoro italiano e ha evidenziato, come scrivono gli economisti Michele Raitano e Giovanni Gallo, gli scompensi di quella pletora di forme contrattuali atipiche o fatte di lavoro grigio, nero e privo di tutele, si vogliano smantellare anche le poche tutele che esistono. Mentre il governo propone, e poi stralcia, il criterio di assegnazione del massimo ribasso nell’assegnazione degli appalti – una norma pesantemente criticata perché avrebbe imposto un feroce arretramento nei diritti, nei salari e nella sicurezza – e archivia la proposta di una tassa di successione, dobbiamo chiederci se, come società, vogliamo proteggere i ricchi o i poveri.