Il referendum e la resistenza delle caste

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Col referendum si vedrà quanto sopravvive della voglia di cambiamento del 4 marzo. Le caste sono schierate più o meno viscidamente tutte per il “no”. Anche quelle costrette a biascicare uno striminzito “sì”. Dai vecchi partiti alla veccia stampa lobbistica. Destra, fu sinistra. Tutti compatti nel salvare prebende e parrucche. Ma la vera posta in gioco è tutta politica. Cittadini da una parte, caste dall’altra. Siamo ancora fermi lì. Il merito del referendum c’entra ben poco. Le ragioni del “no” al taglio sono solo retorica fuori stagione e preoccupazioni pseudo democratiche costruite ad arte e smentite fino alla noia. Siamo in Europa, non su Marte. Basta guardare oltralpe per capire che il taglio non è altro che semplicissimo buonsenso. Un taglio all’ammuffita anomalia italiana. Alle caste 345 poltrone d’oro fanno comodo, ma il loro vero scopo è dare l’ennesima lezione a tutti coloro che hanno osato tentare di cambiare l’Italia e di farlo addirittura contro di loro. Si è dovuti arrivare alla tempesta del 4 marzo affinché qualcuno mettesse mano a vitalizi e privilegi e adesso all’onorevole poltronificio tagliando scranni e proponendo di livellare anche gli stipendi a livello delle democrazie più avanzate. Le caste sarebbero andate avanti a mungere la mammella statale all’infinito. Si sarebbero fatte il secondo attico in centro e la seconda villetta al mare alla faccia dei contribuenti. Pensavano di essere invincibili. Pensavano che le cose in Italia non sarebbero mai cambiate e che nessuno avrebbe intaccato né i loro soldi né il loro dominio politico e culturale sul paese. Avevano il controllo della scena politica. Si passavano la palla tra destra e fu sinistra senza che nessuno riuscisse a ficcare il naso in quei vizietti segreti che li hanno sempre accumunati. Quell’arricchirsi indegnamente mentre il paese finiva in miseria. Quella politica intesa come scala sociale, come ascensore per entrare in qualche casta privilegiata e dare sfogo alle proprie vanità. Intascandosi di tutto. Senza fiatare. La destra come la fu sinistra dei lavoratori e degli oppressi. Quando c’è da abbuffarsi in Italia cessano la faziosità e prevale uno spirito di pacifica fratellanza tra i commensali. Destra e sinistra che dal 4 marzo le han provate tutte per boicottare il cambiamento. Fronteggiandolo di petto o scendendoci a patti. In nome della restaurazione di un regime che ha devastato il paese ma in compenso li ha resi ricchi e potenti. In nome della conservazione. Delle proprie carriere, delle proprie parrucche. Caste che han sempre visto il 4 marzo come una tempesta passeggera. Come un pericolo da scongiurare e non come un’opportunità di apprendimento e rinnovamento collettivo. Come se le nuove consapevolezze dei cittadini fossero sfoghi infantili, come se la voglia di cambiamento fosse un capriccio e le rotte seguite delle altre democrazie dettagli trascurabili. Come se l’Italia fosse su Marte e non in Europa. Caste annidate nei vecchi partiti come nella veccia stampa lobbistica. Alle redini dei talk show e dei giornali al servizio delle lobby. Nel disperato tentativo d’influenzare il dibattito pubblico a loro favore. Come ai bei tempi. Col referendum si vedrà quanto i cittadini gli danno ancora retta e quanto invece gli ignorano del tutto. Col referendum si vedrà quanto sopravvive della voglia di cambiamento del 4 marzo e di un paese migliore.                                            (Tommaso Merlo)