Il riconoscimento del Made in Italy per le eccellenze italiane

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In questi giorni il dibattito si concentra, a ragione, sull’opportunità di immaginare il post corona virus come un’occasione per ripensare le politiche economiche, sociali, ambientali che hanno governato la nostra vita per riorientarle verso una maggiore sostenibilità e il benessere delle persone. Tuttavia, attendendo i macro cambiamenti, ci sono già piccole, a volte scontate, idee che da subito possono dare un segnale di concretezza importante, a volte più incisivo di tanti progetti di là da venire. Ve ne racconto una.

L’Italia, come noto, eccelle nelle produzioni che richiedono creatività e tradizione (settori della moda, dell’agroalimentare, degli arredamenti e oggettistica per la casa), due caratteristiche indubbiamente riconosciuteci da tutti nel mondo. I fatturati delle aziende impegnate in questi settori sono importanti e contribuiscono in modo determinante al volume di export nazionale. E tanti sono ovviamente i tentativi di imitazione – molti dei quali palesemente illegali – che alimentano il settore della contraffazione. Questo fenomeno, in costante aumento, nuoce non solo ai bilanci dei produttori ma minaccia anche la salute dei consumatori, come dimostra la contraffazione alimentare o l’uso di prodotti coloranti e additivi dannosi nelle lavorazioni di tessuti o calzature falsificate.

Sarebbe quanto mai importante, quindi, realizzare un sistema di protezione delle nostre produzioni di eccellenza attraverso la creazione di un marchio riconoscibile e semplice da usare in Italia e all’estero. Le discussioni in ambito europeo per avere il riconoscimento del Made In slegato dalle regole di origine non preferenziale (origine doganale) hanno incontrato ostacoli tecnico/giuridici e non hanno portato ad alcuna conclusione positiva per l’Italia. A livello interno, invece, ci si è concentrati sulla parte sanzionatoria e la lotta alla contraffazione, in particolare per i prodotti in importazione. La questione del riconoscimento giuridico del Made in Italy, e quindi del relativo supporto alle esportazioni, rimane purtroppo tuttora insoluta. Anzi, come ben sanno gli addetti ai lavori, le normative in alcuni casi sono addirittura in contraddizione tra di loro, come nel caso della definizione delle cd. false o fallaci indicazioni di origine e le previsioni del Codice di Consumo del 2005.

Ecco allora l’idea semplice, ma utile. Il Ministero dello Sviluppo Economico dovrebbe definire le caratteristiche tecniche che un prodotto debba avere o procedure di tracciamento da seguire per essere riconosciuto come Made In Italy e potersi fregiare di un marchio collegato all’eccellenza dei prodotti italiani. Questo lavoro andrà fatto in stretta collaborazione principalmente con le associazioni di categoria, i consorzi di promozione e le aziende produttrici, anche sulla base del lavoro iniziato dall’Istituto per la Tutela dei marchi Italiani. Di pari passo, andrebbe creato il relativo marchio da registrare a livello mondiale presso l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale di Ginevra e andrebbero stabilite le procedure per il rilascio dell’autorizzazione e per l’uso della stessa da parte delle aziende che ne facciano richiesta.

Una volta definite queste propedeutiche attività – e definite le adeguate misure per proteggere il marchio e sanzionare i falsi ­– il marchio “Made in Italy” potrà essere associato a una campagna di comunicazione interna e internazionale che faccia leva sulle attività artistiche e intellettuali alla base dei prodotti e sulle filiere produttive realizzate in Italia. Ciò servirebbe a promuoverlo e pubblicizzarlo all’estero, anche con l’aiuto delle rappresentanze italiane e gli uffici ICE nel mondo, ma soprattutto ad associarlo indelebilmente alla creatività e tradizione italiane.