Ildefonso Falcones – Gli eredi della terra – Milano, Longanesi, 2016, 908 p. (182)

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Il “sequel” è metodo molto usato nella filmografia e nella letteratura, prevalentemente quando il “bambinello” portato sulla scena ha avuto successo.
Così è accaduto con questo autore che, dopo il grande successo di pubblico della Cattedrale del mare, ha pensato bene di ripetersi con un romanzo che – oltre a rifarsi, letteralmente, al primo libro proseguendone parzialmente lo sviluppo della trama – ha ricreato alcuni “cliché vincenti”: un ragazzino povero offeso (là Arnau, qui Hugo) ed umiliato dai potenti (là Roger Puig qui suo figlio), alti e bassi di alternanze della fortuna, vendette e riscatti morali e sociali, e una donna con cui alla fine ritrovare il giusto equilibrio ed il gusto di rivivere (là, Mar, qui Caterina).
Con alcune originali novità: in questo secondo libro c’è anche il potente figlio di Arnau, Bernat, che perseguita Hugo, nonostante questi da ragazzo gli abbia praticamente salvato la vita, e la trama si arricchisce di “amore” per i particolari che sanno bene insinuarsi nella pur vasta rete dei fatti della vita, creando ammirazione per la bravura dell’autore, come nella confessione estorta ad una donna che non avrebbe mai parlato, nemmeno sotto tortura, grazie ad un sottile inganno operato con una breve recita alla presenza di un prete e… con la prima grappa, “acquavitae”, distillata da Hugo per “tirare a campare”, e con la quale più volte ritorna in carreggiata dopo essere stato ridotto economicamente sul lastrico.
Ambientate a cavallo tra il XIV e il XV secolo, sempre a Barcellona e dintorni, queste nuove avventure ruotano intorno alla sempre presente “cattedrale del mare”, alla povertà ed alle prepotenze dei ricchi verso tutti i “servitori della gleba” su cui hanno diritto di vita e di morte, e alla storia, vera, dei sovrani di Spagna in guerra continua e perenne lotta per la successione (con qualche comico tentativo – realmente avvenuto – di far procreare Martino I d’Aragona, detto l’Ecclesiastico o l’Umano, per non lasciare ad altri il trono).
Ma i veri protagonisti diventano con Falcones le caratteristiche umane di uomini e donne che non perdono mai la loro dignità nonostante le avversità della vita.
Si inseriscono in questo secondo libro le vicende dello Scisma d’Occidente – con papi, antipapi, sotterfugi e guerre – sostenuto dall’antipapa Benedetto XIII con l’appoggio di Alfonso V d’Aragona, che ebbe fine solo nel 1429.
Il vino, altro “personaggio” importante di questo romanzo – nonostante i quasi otto secoli di dominazione mussulmana, che avrebbero dovuto colpire la coltivazione della vite – appare e spesso condiziona gli avvenimenti umani, confermando che i cristiani continuarono ad apprezzarlo nonostante gli Almoravidi e gli Almohadi ne avessero sancito il bando.
Hugo Lor comincia con l’essere l’aiutante dodicenne (lavoro trovato grazie all’interessamento dell’Arnau del primo libro) di uno schiavo genovese condannato a portare la palla al piede dopo essere stato catturato nel corso della guerra intermittente tra Barcellona e Genova, che è un bravo maestro d’ascia nel costruire navi (attività a cui aspirerebbe anche lui) e termina, ormai quarantottenne, in una vigna tutta sua dopo averla desiderata tutta una vita e dopo aver lavorato e sofferto in quelle di molti altri.
Un uomo, Hugo, che ha lottato in quegli anni turbolenti del Concilio di Costanza, contro una società e una nobiltà corrotte e volubili, con principi di lealtà (ed anche vendetta), amore (ed anche tradimenti), sogni e riscatto, spinto dalle potenti e fortissime emozioni che hanno sempre caratterizzato il suo agire, non solo per difendere suoi affetti più cari, ma anche – nei momenti di benessere economico – per riscattare, liberare e difendere i suoi schiavi, una “mora” soprattutto, Barcha, che dopo aver compreso l’uomo sacrificherà la sua vita per lui e sua figlia.

Franco Cortese –  Notizie in un click