IMMIGRAZIONE, SEA WATCH E SORELLE: TENTATIVO DI ANALISI POST-IDEOLOGICA

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Secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, a tutto il 2018 l’Italia era il Paese d’Europa con più persone a rischio povertà, con un tasso di disoccupazione quasi doppio rispetto alla media del Continente, in particolare con ben tre regioni meridionali (Campania, Calabria e Sicilia) fra le dieci d’Europa con il più alto livello di disoccupazione.

L’Italia di oggi è il risultato di anni di politiche di indebolimento dei diritti economici e sociali dei cittadini. E quando sei costretto a salutare un figlio che è costretto ad andare all’estero per cercare fortuna, quando vivi una quotidianità fatta di disoccupazione, sfruttamento o precariato, quando quasi un lavoratore su tre guadagna meno di nove euro lordi all’ora, è perfettamente naturale che anche quaranta disperati su un barcone possano essere percepiti come una minaccia.

Non è razzismo, non è intolleranza, non è disumanità. Al contrario, è un fisiologico e umanissimo sentimento di paura. Paura di dover sgomitare con chi sta peggio di te, paura di perdere quel poco che non sono ancora riusciti a toglierti, paura di scivolare ancora più indietro nella scala sociale.

Oggi il panorama politico è diviso. Da una parte c’è chi prova a sfruttare questa paura, giocando sul bisogno delle persone di sentirsi protette, facendo credere loro che per risolvere il problema basti mostrare i muscoli, chiudere i porti, mettere dei tappi. Tappi che sono sistematicamente e inesorabilmente destinati a saltare se la pressione che spinge dal basso diventa troppo forte, e se si continua a pensare che basti arginare gli effetti del fenomeno piuttosto che affrontare le cause a monte.

Dall’altra abbiamo poi le sedicenti forze di centro-sinistra, che hanno la coscienza sporca per avere impoverito e indebolito i cittadini, aumentato le disuguaglianze, servito le élite, contribuito a destabilizzare l’Africa. Oggi non hanno il coraggio di fare un’analisi seria di ciò che sta accadendo, perché questo significherebbe dover ammettere le loro colpe, e quindi preferiscono provare a lavarsi la coscienza predicando accoglienza e solidarietà in maniera indiscriminata, salendo a bordo della Sea Watch e accusando chiunque gli capiti a tiro essere razzista e intollerante.

Di fronte a questo stillicidio di partite ideologiche che si scatenano ad ogni sbarco e si consumano sulla pelle delle persone, che attirano e distraggono come una calamita l’opinione pubblica, e che producono ore ed ore di vuoti dibattiti televisivi fra i due schieramenti contrapposti e rispettivi tifosi, io davvero non so cosa sia più giusto o sbagliato fare.

Quando fai politica la gente si aspetta sempre che tu abbia delle soluzioni a tutto. Per una volta lasciatemi togliere la maschera dell’uomo con tutte le ricette pronte e lasciatemi manifestare l’umana debolezza di chi non ha una risposta. Non so se sia giusto aprire o chiudere i porti, non so se il rifiuto dell’Italia di continuare a sobbarcarsi dell’intero peso di un fenomeno dalle proporzioni così vaste riuscirà a spingere i Paesi europei che se la passano meglio di noi a fare la loro parte. Non so se qualcosa si muoverà, insomma.

Ma di una cosa sono sicuro: l’”emergenza – migranti”, come ci piace chiamarla, è in realtà un’”emergenza – miseria”. E fin quando il mondo occidentale non avrà il coraggio di prendere di petto la questione, fin quando sarà concesso all’avidità di pochi di accumulare ricchezze e risorse a danno dei tanti, fin quando ci saranno squilibri rilevanti nella distribuzione delle ricchezze e nel livello di benessere fra paesi, regioni, continenti, ci saranno sempre persone che migreranno da un luogo all’altro. E non ci saranno tappi, muri, lucchetti destinati a reggere.

Francesco Forciniti