In nome della legge (185), stop armi italiane alla Turchia

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Applicare la legge 185 del 1990. L’Italia non è chiamata a compiere gesti eroici o rivoluzionari per interrompere la fornitura di armamenti alla Turchia: basta rispettare una norma già prevista nell’ordinamento del nostro Paese, quella che impedisce di vendere armi a Paesi in guerra. E in questo momento Ankara è in guerra, senza dubbio alcuno, vista la decisione unilaterale di attaccare i curdi nella Siria del Nord. Si tratta dell’apertura di un conflitto, peraltro senza alcuna provocazione né motivazione: è una deliberata aggressione, che viene portata avanti anche con sistemi d’arma italiani, seguendo il progetto anti-curdi di Recep Tayyip Erdoğan. Un’operazione favorita dal voltafaccia dell’Occidente verso la popolazione curda, sfruttata nella lotta all’Isis e poi lasciata al proprio destino.

Sul rapporto tra industria bellica italiana e Turchia, la Rete Disarmo evidenzia in una nota diffusa nelle ultime ore:

La Turchia è da molti anni uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana e che le forze armate turche dispongono di diversi elicotteri T129 di fatto una licenza di coproduzione degli elicotteri italiani di AW129 Mangusta di Augusta Westland. “Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro” sottolinea Vignarca. In particolare nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva per un controvalore di oltre 360 milioni di euro. Tra i materiali autorizzati: armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 19.7mm, munizioni, bombe, siluri, arazzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software.

Così, per capire il quadro, è utile riportare i passaggi fondamentali della legge 185 del 1990: “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati:a)verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Non c’è bisogno di aggiungere altro rispetto alla guerra iniziata dalla Turchia. Ma c’è un’aggiunta: la stessa legge impone di vietare la vendita di armi in contesti che possano alimentare la minaccia terroristica. E su questo tema gli analisti sono concordi: l’attacco ai curdi rappresenta un gigantesco favore ai miliziani dell’Isis, catturati dai combattenti curdi che li custodiscono nelle loro prigioni. Un ulteriore risvolto della situazione.

“Non è accettabile – ha dichiarato Giorgio Beretta analista sull’export di armi per la Rete Disarmo – che il nostro Paese, che ha attivamente sostenuto l’impegno delle popolazioni curde di contrasto all’ISIS, continui a inviare sistemi militari alla Turchia che oggi intende occupare militarmente i territori curdi”. La Norvegia e la Finlandia hanno già annunciato lo stop all’export delle armi ad Ankara. L’Italia, invece di minacciare sanzioni (che servono solo a prendere/perdere tempo), può seguire questo esempio. E applicare una legge dello Stato.