INTESA ISRAELE-EMIRATI, MA NON CHIAMIAMOLO ACCORDO DI PACE!

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L’accordo siglato tra Israele ed Emirati Arabi Uniti continua ad essere sulle headlines della politica estera e l’intesa inizia a concretizzarsi. Dopo la riattivazione delle linee telefoniche tra i due paesi, ieri il primo volo di linea è decollato da Tel Aviv, sorvolando eccezionalmente l’Arabia Saudita, con destinazione Abu Dhabi. Sul muso del Boeing la scritta “pace”, a bordo il genero di Trump.

E’ stata la delegazione americana in particolare ad accogliere con grande entusiasmo l’accordo tra le due potenze: gli Emirati sono diventati il terzo Paese arabo del Medio Oriente a riconoscere Israele dalla sua fondazione nel 1948. Non venivano ratificati “trattati di pace” ufficiali tra Israele e paesi arabi dal 1994 (non considerando il caso della Mauritania). Lo scorso 13 agosto, Israele e Emirati Arabi Uniti hanno annunciato la normalizzazione delle loro relazioni, mediata dagli Stati Uniti. Secondo il comunicato congiunto, Israele si impegna in compenso a “sospendere le annessioni nei territori della West Bank e si concentra sull’espansione dei legami con altri paesi del mondo arabo e islamico”. Un annuncio inaspettato? Non del tutto, questo accordo rappresenta difatti una tendenza che in realtà è già in corso da diverso tempo, con il perseguire di interessi tattici comuni.

Certo, ogni accordo di collaborazione e scambio è da considerarsi un positivo passo avanti, soprattutto in un’area come quella Medio Orientale che vede tensioni ormai perenni. Il blocco del Golfo è certamente un soggetto importante nella visione strategica di questi ultimi anni e non a caso, la mediazione americana arriva in un momento in cui molti equilibri stanno cambiando. Il blocco anti-iraniano (ma anche quello anti-turco) si consolida, mentre paesi come Libano, Iraq, Libia, vivono crisi che destabilizzano un assetto di alleanze già precario.

E’ quindi auspicabile che vi sia davvero un passo verso la pace, ma è anche scontato chiedersi per esempio perché per l’ennesima volta non sia stata coinvolta la controparte palestinese, in quello che dovrebbe essere un processo di unificazione, per garantire davvero stabilità e sicurezza.
Almeno da quelle che sono le mie conoscenze di mediazione, le trattative si fanno con le parti interessate ed includendo le istanze popolari di cui la regione avrebbe tremendamente bisogno.

Yana Ehm