Istat: “192 miliardi di economia sommersa”

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Nel 2017 l’economia non osservata vale circa 211 miliardi di euro, il 12,1% del Pil. L’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro e le attività illegali a circa 19 miliardi. Le stime per il 2017 confermano la tendenza alla riduzione dell’incidenza sul Pil della componente non osservata dell’economia dopo il picco del 2014 (13,0%). Lo rende noto l’Istat in un report pubblicato oggi.

L’insieme delle componenti dell’economia sommersa vale nel 2017 circa 192 mld di euro, il 12,3% del valore aggiunto prodotto dal sistema economico: la sotto-dichiarazione vale 97 mld, l’impiego di lavoro irregolare 79 mld e le componenti residuali 16 mld. A livello settoriale si evidenzia che il ricorso alla sotto-dichiarazione del valore aggiunto ha un ruolo significativo nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, dove rappresenta il 13,2% del valore aggiunto del comparto, nelle costruzioni (11,9%) e nei servizi professionali (11,6%).

Il fenomeno risulta meno rilevante nelle attività connesse alla produzione di beni alimentari e di consumo (9,2% del totale del settore), alla Produzione di beni di investimento (2,4%) ed è solo marginale nella produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5%). L’impiego di lavoro irregolare ha un peso particolarmente rilevante, pari al 22,7% del valore aggiunto, negli altri servizi per la persona, dove è forte l’incidenza del lavoro domestico, mentre il suo contributo risulta molto limitato nei tre comparti dell’industria in senso stretto (tra l’1,1% e il 3,0%) e negli altri servizi alle imprese (1,7%). Nel settore primario il valore aggiunto sommerso è generato solo dall’impiego di lavoro irregolare , che rappresenta il 16,9% del totale prodotto dal settore.

Nel 2017, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali hanno generato un valore aggiunto pari a 18,9 mld di euro, con un incremento di 0,8 mld rispetto all’anno precedente. I consumi finali di beni e servizi illegali sono risultati pari a 20,3 mld di euro (+0,9 mld rispetto al 2016), che corrispondono all’1,9% del valore complessivo della spesa per consumi finali.

Tra 2014 e il 2017 l’incremento delle attività illegali è stato pari a 2,4 miliardi per il valore aggiunto e 2,7 miliardi per la spesa per consumi finali delle famiglie (con una crescita media annua rispettivamente del 4,7 e 4,9%). La crescita delle attività illegali è determinata prevalentemente dal traffico di stupefacenti. Nel 2017 il valore aggiunto sale a 14,4 mld di euro e la spesa per consumi raggiunge i 15,7 mld di euro. Nel corso dell’intero periodo l’incremento medio annuo per entrambi gli aggregati è di circa 5,8 punti percentuali. Nel periodo di riferimento è modesta la crescita dei servizi di prostituzione. Nel 2017 sia il valore aggiunto sia i consumi si attestano a 4 mld di euro, livelli sostanzialmente invariati rispetto al 2014.

L’attività di contrabbando di sigarette nel 2017 rappresenta il 2,5% del valore aggiunto complessivo (0,5 mld di euro) e il 3,2% dei consumi delle famiglie (0,7 mld di euro). Le attività illegali possono interagire con quelle legali non dichiarate al fisco. Questo è il caso del traffico di stupefacenti che genera un indotto di servizi (per lo stoccaggio di merci e il trasporto di merci su strada e via acqua) che nel periodo 2014-2017 è cresciuto passando da un valore aggiunto di 1,2 mld a 1,3 mld .

Secondo l’istituto di statistica, oltre il 40% del sommerso è concentrato in un unico settore: l’Istat nel quale si evidenzia che il 41,7% del sommerso economico si concentra nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale.

Analogamente l’incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli altri servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore aggiunto totale. All’opposto, il settore degli Altri servizi alle imprese contribuisce al valore aggiunto dell’intera economia per il 27,2% mentre il suo peso in termini di sommerso è del 12,7%. Anche le attività di Produzione di beni intermedi e le attività di Produzione di beni di investimento contribuiscono all’economia sommersa in misura più ridotta (0,8% e 2,1% rispettivamente) che al valore aggiunto complessivo (6,4% e 6,7%).

Cresce il lavoro irregolare. Secondo il report, infatti, le unità di lavoro irregolari nel 2017 sono 3 milioni 700 mila, in crescita di 25 mila unità rispetto al 2016. Nel 2017 sono 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).

Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza percentuale delle Ula non regolari sul totale, risulta stabile nell’ultimo biennio (15,5% nel 2016 e nel 2017) per effetto di una dinamica del lavoro non regolare in linea con quella del totale dell’input di lavoro. Il tasso di irregolarità è più elevato tra i dipendenti rispetto agli indipendenti (rispettivamente il 16,0% e il 14,2%).

Nell’insieme del periodo 2014-2017 il lavoro non regolare presenta una dinamica differenziata e opposta a quella che caratterizza il lavoro regolare: gli irregolari aumentano di circa 59 mila unità (+1,6%) mentre i regolari crescono di 603 mila unità (+3,1%), determinando un leggero calo del tasso di irregolarità (dal 15,6% osservato del 2014 al 15,5% del 2017).