Kashmir, venti di guerra tra India e Pakistan

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Il governo indiano di estrema destra ha annunciato la decisione di abrogare l’articolo 370 della Costituzione che rappresentava la pietra angolare dell’adesione dello Stato all’India nel 1947 garantendo autonomia e uno status speciale. Una decisione potenzialmente esplosiva che si accompagna ad una massiccia repressione con il dispiegamento di decine di migliaia di truppe aggiuntive indiane e arresti domiciliari per numerosi politici locali, tra cui Mohammed Yosuf Tarigami del Partito Comunista d’India (Marxista) che ha dichiarato con un post su Facebook: «Non sappiamo cosa accadrà domani. Ma ci uniremo e combatteremo per difendere i diritti del popolo di Jammu e Kashmir».

Alla fine di luglio, erano già emerse notizie di dispiegamento su larga scala delle forze di sicurezza indiane nel Kashmir, la regione più militarizzata al mondo, con circa 35mila soldati che si aggiungono agli oltre 500.000 addetti alla sicurezza che si trovano già nella regione. Inoltre sono vietati gli assembramenti di più di quattro persone e tutte le manifestazioni pubbliche sono state bandite. Un blackout completo delle comunicazioni è stato imposto nella regione, tutti i servizi internet sono stati sospesi e i servizi di rete fissa e telefonia mobile sono fortemente limitati.

Gli ospedali sono stati messi in stato di allerta per prepararsi ad una situazione di emergenza mentre le autorità delle ferrovie hanno chiesto ai dipendenti di immagazzinare razioni per almeno quattro mesi in quanto vi è una “previsione di deterioramento della situazione”. Tutte le scuole e università sono state chiuse e presidiate dalle truppe. Agli studenti stranieri che studiano presso il National Institute of Technology di Srinagar è stato ordinato di abbandonare il campus universitario e lasciare lo Stato al più presto, così come circa 20mila turisti, pellegrini e alpinisti vengono evacuati dalla regione dalle autorità indiane e 200mila lavoratori stranieri stanno cercando anch’essi di abbandonare l’area.

Il primo ministro pakistano, Imran Khan, ha accusato l’India di una politica di «annessione del Kashmir» e di promuovere una «ideologia razzista, che mette gli indù al di sopra di tutte le altre religioni», affermando che il governo (nazionalista indù) di Narendra Modi ha costantemente respinto le proposte di dialogo di Islamabad. Ha aggiunto inoltre che adesso «la questione del Kashmir diventerà un grosso problema» che «avrà gravi conseguenze per il mondo intero», sottolineando di esser pronto alla guerra e che il suo governo sosterrà «la resistenza del popolo del Kashmir», accusando Nuova Delhi di preparare una «pulizia etnica per spazzare via la popolazione locale». Il governo pakistano ha deciso di espellere l’ambasciatore indiano e di sospendere le relazioni commerciali bilaterali.

L’abrogazione dell’articolo 370 della costituzione indiana che sanciva l’autonomia del Kashmir e dell’articolo 35 (A), che garantiva lo status speciale della regione kashmira e definiva le condizioni dei “residenti permanenti” come unici a poter possedere beni e immobili e assumere incarichi pubblici (aprendo adesso alla possibilità di una sorta di “colonizzazione” indù), e la divisione in due dello Stato del Jammu e Kashmir, dopo che già lo scorso anno l’Assemblea J&K era stata illegalmente sciolta senza dare la possibilità di formare il governo, scatenerà nuove proteste di massa nella regione. Questa già nel recente passato è stata al centro di attentati terroristici come quello del febbraio scorso che causò la morte di una quarantina di soldati indiani a cui seguì l’abbattimento reciproco di aerei militari, mentre nel 2018 sono almeno 400 i morti causati dalle forze di sicurezza indiane.                                                                         fonte http://www.lariscossa.com