La cultura è la cura non chiudiamola

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E’ davvero sconfortante che, nell’ambito delle scelte assunte dal Governo in queste ore, non sia stato lanciato un segnale forte e univoco sulla cultura. O meglio, che lo si sia fatto in modo parziale: la riapertura delle biblioteche e degli archivi va nella giusta direzione. Ma perché non fare lo stesso anche con i musei e con le mostre, nelle zone gialle, e con i teatri e i cinema?

Accettiamo tutti, giustamente, le restrizioni, per fermare la seconda ondata pandemica e per non fare leggerezze che ne provochino, all’inizio del 2021, una terza. Si rimane nelle proprie città, limitando gli spostamenti, col commercio aperto e bar ristoranti all’ora di pranzo. Perché non poter andare, coi numeri limitati, a cinema e teatri nelle mattine e nei pomeriggi di festa? Perché non poter visitare i musei e le mostre -con le efficaci condizioni di distanziamento e di sicurezza già adottate dopo il primo lockdown-?
Non si possono evocare in questo caso i rischi di contagio. Si tratterebbe di presenze comunque limitate.e controllabili. Ma il segnale sarebbe importante: la cultura è la cura, o fa parte della cura.

Librerie, Biblioteche, teatri, musei, cinema, scuole dovrebbero far parte di un’unica visione politica. Del resto, e giustamente, le chiese sono aperte: sono luoghi di cultura, oltre che di religiosità; si possono ammirare capolavori artistici e architettonici, in assolta sicurezza.
Francia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Austria, Belgio, forse la Germania nei prossimi giorni si muovono nella direzione di un’oculata apertura degli spazi culturali. L’Italia no.
Molti operatori avevano fatto appelli ragionati e costruttivi in questo senso. Non sono stati ascoltati. Mi stupisco in particolare che la sinistra al Governo non abbia rivendicato queste scelte, che contribuirebbero ad arricchire spiritualmente e moralmente le festività, e ad aiutare il morale delle persone in un momento difficile, a seminare e ritrovare fiducia e speranza.
E’ indispensabile, Presidente Conte e Ministro Franceschini, un ripensamento. Sarebbe un bel segnale, fuori dalla vacua e ormai insopportabile retorica sulla rinascita dell’Italia attraverso la cultura.

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