La destra salviniana e quel linguaggio che corrode il pensiero

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La destra sovranista ha bisogno di esprimersi con il turpiloquio. Utilizzare un gergo prosaico è una strategia comunicativa che serve per avvicinare la politica alle pulsioni più basse della società. Imprecazioni, maledizioni, insulti, coniazione di termini nuovi riferiti agli avversari politici o a particolari categorie sociali vittime di pregiudizio obbediscono ad una logica di “rispecchiamento al ribasso”. Il demagogo di turno tenderà ad assecondare gli istinti primordiali delle persone utilizzando espressioni colorite in cui si evidenzieranno pregiudizi razzisti, sessisti, omofobi, misogini. Tutto sarà ovviamente comunicato in modo da poter sempre replicare che sono “gli altri” che non hanno capito o che hanno decontestualizzato una frase. Solitamente la costruzione del racconto ad effetto è costruito con questa sequenza: si parte dalla narrazione di un episodio negativo; si passa poi all’individuazione del presunto responsabile o di chi è stato giudicato “capro espiatorio”; si passa agli improperi nei confronti del bersaglio prima individuato; eventualmente si chiude il discorso con una espressione colorita tipo “è finita la pacchia” o una frase ironica spregiativa.
Per confondere i cittadini si cercherà di far intendere che non esiste più il binomio destra-sinistra e che questo debba venire rimpiazzato dal “prima-dopo” oppure “vecchio-nuovo” o, ancora, “popolo-élite”. La sovranità del popolo e il pregiudizio contro le passate classi dirigenti sono utilizzate come arma per restringere o eliminare gli spazi di democrazia e di partecipazione dei partiti, nonché della cittadinanza attiva, a favore di un presunto efficientismo che si traduce, in realtà, in un comodo centralismo decisionale, spesso poco trasparente. Le assemblee istituzionali sono sistematicamente denigrate e considerate “perdita di tempo”, mentre l’associazionismo viene relegato al ruolo ricreativo, ma mai come soggetto attivo e proponente.
Va da sé che in questo modo, parlando “alla pancia”, in una società post-ideologica, ormai priva di sovrastrutture, la politica rinuncia ad una funzione educativa e diviene inevitabilmente espressione di volgarità. Questo porta a una regressione culturale e coltiva il pensiero di una società che si basa sulle narrazioni e le emozioni, piuttosto che sulla realtà e la comprensione di fenomeni complessi. Come ha giustamente evidenziato il professor Giuseppe Antonelli, ordinario di Linguistica all’Università di Cassino, autore del libro “Volgare eloquenza”: “Se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero”. Più facilmente potremmo dirla come Nanni Moretti nel film Palombella Rossa: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”.