La Fiom propone una grande alleanza contro lo sfruttamento negli appalti

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re donne e tre uomini al tavolo della presidenza, su cui sono esposte le locandine rosse che ricordano il tema dell’assemblea – “Linea d’appalto” – che ha visto convergere ieri a Roma, nella sede della Cgil nazionale, decine di delegati e di lavoratori degli appalti, dei subappalti e dei subappalti dei subappalti, una “filiera” di sfruttamento, di precarietà, di insicurezza, e spesso di malaffare e di corruzione, che lambisce anche le grandi aziende pubbliche. E che preoccupa il sindacato. Che ieri ha discusso senza filtri dello tsunami che ha investito (e modificato geneticamente) il mondo del lavoro, e “il rapporto tra capitale e lavoro”, come dirà nelle conclusioni la segretaria della Fiom, Francesca Re David, a partire dalle esternalizzazioni dei servizi pubblici e dalle privatizzazioni, iniziate negli anni ’90, del settore dell’energia, delle telecomunicazioni e delle grandi aziende pubbliche.

Tocca a Fabio Palmieri, un’istituzione nella categoria dei metalmeccanici, aprire i lavori. Assieme a lui, in presidenza, Francesca Re David, Barbara Tibaldi, che terrà la relazione introduttiva della giornata, Rosita Galdiero, ex segretaria della Cgil di Benevento, oggi in forza alla Fiom, e Giuseppe Massafra, della segreteria nazionale della Cgil, in rappresentanza della Confederazione.

L’eco dei risultati elettorali in Emilia, che ha visto prevalere il centrosinistra sulla Lega di Matteo Salvini, rimbomba nella Sala Di Vittorio ma, dice subito Barbara Tibaldi, “il fascismo non si batte con le elezioni o con le piazze ma con il lavoro. Senza lavoro non c’è cambiamento e il cambiamento parte dagli ultimi, e gli ultimi sono i lavoratori degli appalti”.

E che gli uiltimi siano i lavoratori degli appalti lo testimoniano le storie, dolorose, che si sono alternate al microfono subito dopo la relazione introduttiva: “Chi sono e quanti sono i lavoratori degli appalti è una domanda cui nessuno sa rispondere, nemmeno lo Stato. Oggi nelle nostre fabbriche – esordisce Tibaldi – il lavoro in appalto è diventato strutturale, benché l’articolo 9 del nostro contratto nazionale dica che non può essere utilizzato sul core business”. Ma non va certo meglio nel settore pubblico dove la Consip (la centrale acquisti della pubblica amministrazione, ndr) gestisce gli appalti dentro la logica del massimo ribasso. Appalti e subappalti ovunque, negli ospedali, negli aeroporti, nelle stazioni ed è per questo “che occorre un’alleanza tra le categorie, una mobilitazione dell’intero settore, il rilancio dell’attività confederale con incontri tra delegati e occorre far sì che il contratto Multiservizi non diventi il contratto nazionale degli appalti”.

A Rosita Galdiero, il compito di ricostruire gli effetti di una dimensione normativa che favorisce ed alimenta la filiera dello sfruttamento negli appalti. A partire dalle gare al massimo ribasso, dai contratti pirata, dall’elusione della clausola sociale che occorre “inserire nei capitolati d’appalto”. Racconta, Galdiero, di come nei cambi d’appalto i diritti dei lavoratori vengano polverizzati: “Viene persino cancellata la data di assunzione convenzionale sicché il lavoratore non può andare nemmeno a comprare una lavatrice a rate”. Ricorda pure che “il 40% della corruzione si annida negli appalti e nei subappalti e il cosiddetto “Sbloccacantieri” non ha fatto altro che peggiorare la situazione”.

La parola passa ai delegati e ai lavoratori. A Marco da Ferrara, a Davide da Cuneo, a Giovanni da Civitavecchia, a Stefano di Milano, a Rosetta di Almaviva Roma, a Roberto, delegato di Fincantieri: “Nel cantiere di Muggiano, a fronte di 600 addetti stabili, altri 2000 sono lavoratori degli appalti. Sono loro che costruiscono quelle navi su cui poi noi lavoratori dipendenti prendiamo i premi di obiettivo”. Massimo invece è un delegato della sanità pubblica e arriva dalla Campania: “Abbiamo fatto un coordinamento regionale dei lavoratori degli appalti. E siamo riusciti a garantire le tutele ai lavoratori e i livelli occupazionali nei cambi d’appalto, abbiamo persino abolito il Jobs Act”. Il risultato è che in 400 si sono iscritti al sindacato. “Purtroppo sono un lavoratore in appalto di una raffineria Eni”, dice Giuseppe da Venezia. “Tra quattro mesi ho il rinnovo dell’appalto, ho cambiato tre aziende in undici anni. E ne ho viste tante in questi anni. Nelle aziende non sindacalizzate poi capita di tutto: ci sono casi in cui al lavoratore vengono pagati 1500 euro con l’ìmpegno di andare al bancomat e riportare indietro 500 euro”. Per non parlare della sicurezza sul lavoro che nel mondo degli appalti è un miraggio: “Risparmiano persino sul vestiario”, conclude Giuseppe. In platea c’è Rosy Scollo, delegata della StMicroelectronics di Catania, tra le protagoniste del libro di Loriana Lucciarini, “Doppio Carico”, dedicato alle operaie: “Nel nostro territorio – spiega – il fenomeno degli appalti e dei subappalti è molto diffuso. Ne stiamo incontrando diversi in questi giorni, stiamo avviando un lavoro di mappatura e di sindacalizzazione con tutte le difficoltà che implica la loro condizione di estrema ricattabilità. Ci chiedono di rimanere anonimi ma ci chiedono anche di intervenire, di avere lo stesso trattamento dei loro colleghi dipendenti delle aziende committenti”.

Prende la parola Giuseppe Massafra: “Il sistema degli appalti – dice – è quello in cui si esprimono le più grandi contraddizioni e le più pesanti condizioni di dumping e di separatezza. Abbiamo visto come il core business in realtà sia diventato l’appalto stesso. Lo strumento principale per ricomporre il mondo del lavoro rimane per noi la contrattazione. Ma anche la confederalità. Che non è una sottrazione di prerogative negoziali ma è la capacità di livellare verso l’alto le condizioni dei lavoratori. Ma serve anche trasparenza e legalità nel sistema degli appalti. Abbiamo avviato un confronto con il ministero dei Trasporti sullo “Sbloccacantieri”, un confronto al momento limitato”.

Nelle conclusioni, Francesca Re David, prova a mettere in ordine le sollecitazioni emerse negli interventi: “Dobbiamo rendere pubblico il nostro ragionamento – dice – sulle politiche industriali del Paese, dobbiamo mettere in campo le competenze che solo i lavoratori hanno. Quando parliamo di precarietà nell’industria parliamo di appalti, subappalti, scatole vuote e scatole piene. E nel frattempo, dal 2007 ad oggi, gli utili delle aziende sono più che raddoppiati mentre i salari sono rimasti al palo. Ma l’obiettivo delle aziende non è soltanto quello del risparmio sul costo del lavoro (che rappresenta in media l’8% dei costi) ma è quello di frantumare il lavoro per modificare a loro vantaggio il rapporto capitale-lavoro, di non avere il rischio di impresa. E allora dobbiamo capire come il capofiliera si rapporta con la filiera, occorre creare coordinamenti di delegati che non siano fatti solo di funzionari, occorre cambiare le leggi e renderle efficaci. E poi servono ammortizzatori sociali adeguati ai cambiamenti. E soprattutto diciamo no al contratto dei lavoratori degli appalti”.

La discussione è aperta e sembra destinata a continuare in sinergia con le altre categorie e con l’intera confederazione che, della cosiddetta contrattazione inclusiva, ha fatto uno dei suoi primi punti di programma e di nuove pratiche sindacali.

Fortebraccio News