La nostra Assemblea e quella del Pd a Bologna. E i tanti che sono fuori

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Non è un mistero che Articolo Uno abbia tra i suoi obiettivi l’arrivare alla costruzione di un più largo partito socialista e democratico – anzi: eco-socialdemocratico – nel nostro paese; l’Assemblea nazionale di sabato ha fatto un passo in questa direzione, dando mandato a Roberto Speranza di procedere a un’interlocuzione con il maggior partito del centrosinistra italiano per verificare la fattibilità di questo progetto.

Ci sono due dati di fatto da riconoscere come premesse: se il primo è che la scomposizione e ricomposizione del quadro politico nazionale è pienamente in atto, ancora ben lontana dal raggiungimento di una nuova stabilità, l’altro è che ormai quasi tutto il campo del centrosinistra (escluse, inevitabilmente, le sue frange più centriste, geolocalizzabili approssimativamente attorno a Rignano sull’Arno) ha maturato la consapevolezza della necessità irrimandabile di un ripensamento sulla lunga stagione apertasi con la svolta della Bolognina, della quale, quasi a segnare una scadenza storica, la settimana scorsa ricorreva il trentennale.

Le indicazioni che arrivano da Bologna, vero centro di gravità permanente della sinistra italiana, sono, per la prima volta dopo tanto tempo, positive: dopo tanta egemonia neocentrista, anche nel Pd, grazie non a caso alla spinta di uno degli ultimi intellettuali-politici (dalemiani…) rimasti, iniziano a riconoscere il bisogno, per una vera rifondazione, di rompere i ponti con l’egemonia neoliberale. Da parte nostra, da parte di quelli che tra i primi hanno denunciato l’abbraccio mortale di quella ideologia anche sulla sinistra e la necessità di dare vita a un nuovo pensiero socialista, sarebbe irresponsabile non incoraggiare questo processo nascente, soprattutto perché c’è comunque ancora molta strada da fare (in misura rilevante, tra l’altro, nella concezione del funzionamento delle soggettività politiche).

D’altro canto, però, bisogna ammettere che la sfida di rifondare e ridare stabilità all’identità socialista in Italia sia probabilmente troppo grande per queste due sole gambe. E qui Articolo Uno può, anzi, deve, giocare un ruolo cardine di allargamento: l’invito a giocare la partita in questo processo, una partita che si è riaperta dopo tanto tempo in cui questo sembrava impossibile, deve essere ampio e rivolto a tutte e tutti coloro che si riconoscano nell’eredità delle tradizioni del comunismo e del socialismo italiani, come pure a chi può portare in questo percorso quanto di meglio è stato rappresentato dalla società civile, dall’ambientalismo alle lotte antimafia del Mezzogiorno.

Non possiamo pensare di rivolgerci soltanto a singoli partiti, poiché la militanza e l’elettorato potenziali di sinistra e popolari sono ormai suddivisi in una miriade di soggetti, attraverso tutto l’arco politico e tracimando nell’astensione; dobbiamo chiamare a raccolta comunità e sensibilità disperse a cui far riscoprire di avere più punti in comune che differenze, e dunque: non il centrosinistra esistente, ma la sinistra ancora da costruire.

Avremo successo? Ѐ difficile dirlo, oggi. A differenza di alcuni, chi scrive ha il timore che le brutali strette dell’individualizzazione e della concezione tardocapitalista sulla nostra società e anche nel centrosinistra siano così forti da richiedere uno sforzo enorme per essere allentate. La partita si è forse riaperta, ma non è una partita che si può giocare solo in due. A noi il compito di far entrare in gioco chi se n’è drammaticamente sentito, per troppo tempo, escluso.