La Piazza Grande che non c’è stata

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Mi sono avvicinato al Pd, da indipendente, grazie a una idea forte di trasformazione del campo progressista. Si chiamava Piazza Grande, un movimento che ha portato oltre un milione di persone a votare Zingaretti alle primarie. Molte senza la tessera del Pd, gente di sinistra, ecologisti, intellettuali, femministe, amministratori locali, lavoratori. Compresi tantissimi attivisti democratici. Persone che hanno intravisto in quel movimento una speranza, una possibilità. Ho avuto l’onore di coordinare Piazza Grande, si respirava un clima positivo, di cambiamento ma è stata una promessa non mantenuta. Una specie di ricreazione, uno spazio di libertà in cui far giocare i bambini e gli ingenui. Chiusa la parentesi il Pd ha continuato a funzionare come sempre, come se quella spinta non ci fosse mai stata. Il Pd appare come uno spazio sequestrato da chi ha più potere. E non sempre sono i Segretari, che vengono consumati all’abbisogna. Tutti i Segretari.
Un luogo che funziona così, fondato su cordate e carriere. E che, nel tempo, ha visto asciugarsi la base militante e la dimensione ideale.
Più che sulle singole responsabilità mi concentrerei su questo, sulla meccanica, su come il Pd funziona concretamente. Prima che la giostra riparta, prendendo seriamente le parole pesanti di Zingaretti.
A Nicola, a cui va tutta la mia solidarietà, vorrei dire che il problema non è averci provato ma, forse, averci provato troppo poco a cambiare tutto. Ieri un autorevole dirigente del Pd ha detto che la scelta di Zinga e’ dettata da problemi personali sorvolando sulla drammatica denuncia politica; ha parlato, lui liberale, come un Breznev qualsiasi. Io invece penso che le dimissioni testimoniano un gigantesco problema politico: valori, identità, letture, linguaggi, riferimenti sociali, genere, pratiche, conflitto. Con il “Dream team” Draghi Giorgetti Mc Kinsey e Generali vari la sola responsabilità nazionale non basta più a definire un profilo distintivo. Nelle persone che hanno animato Piazza Grande c’è delusione e disincanto per l’occasione mancata. Non pensavano di finire in Vicolo Stretto. Ma continuano a battersi, a tessere le fila del cambiamento possibile.
Un patrimonio enorme, disinteressato, a cui andrebbero date le chiavi di casa.
In questo passaggio c’è in ballo l’esistenza stessa di una opzione di Sinistra nel nostro Paese. Siamo l’unico Paese europeo senza una forza politica di sinistra ambientalista visibile e forte. Capace di stare al governo, capace, se necessario, di animare l’opposizione. Addolcendo l’alternativa di società si è finiti in un cono d’ombra dove viene meno anche l’alternanza di governo. E se vivi solo come “governo”, finisce che governi con tutti. Come negli ultimi dieci anni.
Con Draghi cambierà tutto, ci sarà un ulteriore smottamento del sistema politico. Monti e le mancate elezioni nel 2011 hanno messo le ali al populismo. Oggi rischiamo la marea montante di destra. Dobbiamo predisporci a un confronto duro, insieme a Conte e alle parti migliori di un governo mandato a sbattere da Renzi in nome e per conto di una stabilizzazione moderata. Più atlantica che europeista. Dobbiamo continuare ad arare il campo largo progressista. Sarà un anno impegnativo. Servirebbe uno shock, una movimentazione, una discussione sincera dagli esiti non prevedibili. Una cosa che per approssimazione potrebbe somigliare a ciò che sarebbe dovuta essere Piazza Grande.