La riforma del fisco rischia di diventare una patrimoniale

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Come se finora non si fosse detto da quasi tutto lo schieramento di maggioranza che la riforma del fisco deve essere organica

E riguardare l’intera gamma almeno delle principali imposte e tasse, torna invece, con una sorta di andamento carsico, l’ipotesi di una patrimoniale. Si muove dal giusto proposito del premier Mario Draghi di contrastare o almeno ridimensionare le disuguaglianze, acuite dalla pandemia, ma la cura che si propone, in alcuni interventi, è l’introduzione di una patrimoniale. Una imposta della specie, in presenza di un’evasione di 130-140 miliardi e di un sistema tributario che va sostanzialmente corretto, finirebbe con il far si che paghino solo i contribuenti che adempiono correttamente agli obblighi con il fisco, mentre si perpetuerebbe lo squilibrio tra costoro e quelli che evadono o eludono i doveri verso lo Stato.

Per di più, un’ipotesi quale quella prospettata trascurerebbe l’opportunità di collegarci alle interessanti proposte dell’amministrazione Biden, in particolare a proposito dell’introduzione di una «global minimum tax» sulle multinazionali dalla cui applicazione autorevoli esperti calcolano un possibile gettito per l’Italia di una decina di miliardi. Ancor più nell’attuale situazione, la sola evocazione della patrimoniale spaventa, perdurando gli impatti della pandemia (pur vigendo già imposte sul patrimonio, quale quella sugli immobili). Nel ceto medio e, in particolare, tra i numerosi contribuenti che non evadono, introdurre ora una tale imposta potrebbe significare aggravare una condizione resa più complicata dagli effetti del Covid-19.

Non parliamo, poi, dell’eventualità di una patrimoniale che fosse applicata ai depositi bancari la quale ricorderebbe quella, sciagurata, del 6 per mille introdotta dal Governo Amato nel 1992. Draghi, allora, era Direttore generale del Tesoro e certamente ricorderà gli impatti pesantissimi con fughe di capitali all’estero e grave disorientamento tra risparmiatori, investitori e operatori, perdita di fiducia nello Stato. Dovette essere la Banca d’Italia a rassicurare istituti di credito, risparmiatori e mercati, nonché a garantire in prima persona correttezza e trasparenza nell’operare. Tutto ciò non significa, ovviamente, ridimensionare il problema, effettivo e grave, delle disuguaglianze