La rivoluzione sovranista. Intorno all’ultimo libro di Marco Gervasoni

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Leggendo il titolo dell’ultimo libro di Marco Gervasoni, e tenendo conto di quanto è successo quest’estate nel nostro Paese, verrebbe da dire che questo libro arriva tardi. “La rivoluzione sovranista” – questo il titolo del volume di 200 pagine uscito in questi giorni, nella bella collana di saggistica di Giubilei Regnani Editore – sembrerebbe in grande difficoltà: il quadro internazionale sta mutando velocemente e l’euforia sovranista è costretta in Italia a fare i conti con la dura realtà. Il primo esperimento di un governo sovranista, quello giallo-verde, è fallito e si sta facendo di tutto per farlo dimenticare il prima possibile. Bisogna ritornare alla normalità: un nuovo centro-sinistra liberal-“progressista” (e “ climatista”) e un vecchio centro-destra nazional-“conservatore”. E tutti felici e contenti. Non è che fuori le cose vadano tanto meglio. Boris Johnson è in difficoltà con la Brexit e Putin nelle ultime elezioni amministrative è stato costretto a subire – almeno a Mosca – una contrazione nei consensi. Sono segnali da non sottovalutare.

I libri, e qui stiamo parlando di un libro, non possono certo correre dietro ai fatti, qualche volta riescono a raccontare quelli che sono avvenuti. Quello che intendo qui discutere di Marco Gervasoni – storico e saggista controcorrente, che per questo è stato di recente allontanato dall’insegnamento in una università privata – consente dopo altri che nel frattempo sono apparsi, di farsi un’idea più precisa di cosa sia il “sovranismo” ricercandone le radici, non limitandosi alla superficie del fenomeno. Mi soffermo qui solo su un aspetto, peraltro centrale. Gervasoni delinea due tipologie di ”sovranismo”. Il primo tipo, a mio avviso quello autenticamente sovranista, postideologico, innovativo pur nel rispetto della tradizione, ed un secondo tipo radicato nella continuità con due precedenti rivoluzioni “conservatrici”, quella degli anni Venti e Trenta in Germania, ben raccontata da uno dei protagonisti, Armin Mohler, e la seconda quella neoliberale degli anni Settanta e Ottanta con Reagan e Thatcher.

Certo, è evidente anche per Gervasoni che il sovranismo di oggi sia qualcosa di diverso, ma è pur sempre in questo sfondo nazional-conservatore che per lui andrebbero collocati il lepenismo in Francia e il salvinismo in Italia. Per non parlare di Meloni, il cui sbanderiato sovranismo non dice in effetti niente di nuovo rispetto al difesa dello Stato centralista. L’alterativa sarebbe dunque tra liberali-mondialisti e conservatori-nazionalisti, secondo Gervasoni.

Questa lettura, a mio avviso, non regge perché la mentalità neoliberale è ben presente anche tra i conservatori. E la domanda da porsi semmai è dove si collochi oggi la nuova Lega di Salvini: all’interno di questa cornice “nazional-conservatrice” che aspira semplicemente a ripristinare la sovranità statale, la sovranità dello Stato nazione di un tempo?

Difficile dirlo, se vi è un limite della nuova Lega è quello – a mio avviso – di non aver ancora concettualizzato in modo adeguato il passaggio da una Lega regionalista ad una Lega nazionale. Più che una Lega nazional-conservatrice credo che varrebbe la pena costruire una Lega nazional-popolare fondata sulle autonomie territoriali e sulla difesa di quei ceti sociali che maggiormente hanno patito e continuano a patire a causa della globalizzazione e della immigrazione incontrollata.