La Turchia ci fa fuori dalla Libia: il parlamento approva l’invio di truppe

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Roma – Dopo la Siria tocca alla Libia. Il Parlamento turco ha infatti approvato l’invio di truppe nell’ex colonia italiana a sostegno del governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj. Nessuna sorpresa, la mozione a favore della mossa bellica voluta dal presidente Erdogan, come facilmente prevedibile, è passata: 325 voti a favore a fronte di 184 contrari, così come annunciato dallo speaker dell’Assemblea nazionale Mustafa Sentop. Non è stata stabilita una data precisa per il dispiegamento dei militari di Ankara ma stando a quanto riferito dal vice presidente turco Fuat Oktay, il via libera del Parlamento vale per un anno: “Noi siamo pronti, l’esercito e il minitero della Difesa sono pronti”, ha dichiarato Oktay.
La mossa di Erdogan

In realtà la Turchia da molto tempo è militarmente attiva in Libia per blindare il governo di Tripoli, a cui ha inviato e continua a inviare armi per contrastare l’avanzata del generale Khalifa Haftar (a sua volta sostenuto da Egitto e Russia). L’invio di soldati sul campo, con la precisa finalità di impedire la caduta della capitale libica, è però un chiaro segnale lanciato da Erdogan. Il “sultano”, dopo aver sferrato l’attacco contro i curdi nel nord della Siria, vuole ritagliarsi sempre più un ruolo di primo piano in campo internazionale. Nel mirino turco, come storia insegna, vi sono soprattutto Medio Oriente e Nord Africa. Le stesse aree geografiche, delimitanti il Mediterraneo, che dovrebbero essere particolarmente attenzionate dall’Italia. E invece, come purtroppo noto, il governo giallofucsia è fermo al palo, incapace di alzare la voce e di ritagliarsi efficacemente uno spazio doveroso.
Il fantasma Di Maio

La mesta figura rimediata in Libia dal (non) ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è soltanto il “nadir” di un sin troppo lungo immobilismo italiano. Secondo il leader pentastellato per la Libia non vi può essere alcuna soluzione militare ma “soltanto un dialogo politico” e per imprimere una svolta è necessario attendere “la conferenza di Berlino”. Peccato che quest’ultima, ormai divenuta un miraggio da evocare tanto per, non si sa neppure quando si terrà (non è ancora stata fissata una data) e nel frattempo la guerra civile è arrivata a un punto di non ritorno. Così, mentre Di Maio è impegnato a scontrarsi con i Paragone di turno, altre potenze internazionali si apprestano a scalzarci definitivamente dalla Libia.

Eugenio Palazzini