LA VIOLENZA SULLE DONNE CHE NESSUNO VUOLE VEDERE

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disabile
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Che cos’è il nome proprio? Che cosa rappresenta il vostro nome per voi che state leggendo?

Magari ve ne sarebbe piaciuto un altro, usate un diminutivo del vostro, ma provate a pensare come se sarebbe se doveste rinunciare al vostro nome ed essere chiamate con un altro. Anni fa entrai in amicizia con una signora moldava, che mi disse di chiamarsi Lucia. Le chiesi come mai nel suo paese e in altri paesi dell’est ci fossero tanti nomi di donna italiani, da dove nascesse questa consuetudine.

Mi spiegò di chiamarsi, in realtà, Svetlana, che quando si era trasferita in Italia in cerca di lavoro le avevano consigliato di cambiare nome per renderlo più familiare. Poiché Svetlana significa luce, aveva scelto per assonanza Lucia. Inizia così il viaggio nella disperazione di donne che permettono ad altre donne di seguire la propria strada verso l’emancipazione. Noi possiamo impegnarci nel lavoro pagato trasferendo il carico del lavoro di cura su altre donne che, seppure pagate, pagano un caro prezzo. Un triste gioco di parole, una verità scomoda che però va affrontata.

Da tempo vengono pubblicati dati allarmanti sul numero di suicidi di bambini, i loro figli, che rimangono a casa affidati ai parenti. I contatti di persona sono sporadici, quelli telefonici insufficienti a colmare il vuoto che sentono le madri e i figli. I dati sono difficili da raccogliere, anche quelli relativi all’uso in aumento di psicofarmaci da parte di queste donne. C’è un altro versante raccapricciante da denunciare: in modo sempre più sfacciato viene chiesto alle “badanti” – che termine orribile – nel caso in cui si occupino di un uomo, di fornirgli anche “servizietti” aggiuntivi. Si sa che la vita sessuale di un uomo è considerata un bisogno naturale imprescindibile, una sorta di diritto divino.

Usate, umiliate, sole. Ne ha scritto di recente Linda Varlese su Huffington Post. Raccontandoci che in Romania è stato coniato un nuovo termine: il mal d’Italia, sindrome da burnout che spesso fa finire queste donne sofferenti, al loro rientro in patria, in cliniche psichiatriche. Donne invisibili che sono vicinissime a noi. Guardiamole, diamo loro voce.
Judith Pinnock