LADRO O STATISTA?

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Tutti parlano di Bettino Craxi, e non potrebbe essere altrimenti a vent’anni dalla morte. Ci si interroga se fosse latitante o esule. Alcuni lo celebrano, altri lo riabilitano, molti continuano a considerarlo un malfattore.
Volendo conservare uno straccio di equilibrio occorre ammettere che Craxi rifondò il socialismo patriottico, distinguendolo drasticamente dal comunismo, che combatté con forza. E il Partito comunista gliela giurò.
Si potrebbe perfino dire di lui che fu un precursore del sovranismo, rappresentato plasticamente nell’episodio in cui ai carabinieri e ai Vam dell’Aeronautica militare italiana fu ordinato di circondare i soldati statunitensi che a loro volta avevano assediato un aereo atterrato a Sigonella con a bordo dei terroristi palestinesi che gli americani volevano trasferire a casa loro. Invece la spuntò Craxi e i terroristi furono tradotti in carcere a Roma.
Ma un altro scampolo di sovranismo fu rappresentato dalle critiche feroci al Trattato di Maastricht e ai nuovi parametri europei, che a suo giudizio avrebbero trasformato l’Unione europea in un ‘limbo o in un inferno’.
Craxi poi scongelò per primo il Msi di Almirante, convocando per la prima volta la destra alle consultazioni per la formazione del suo Governo, di fatto anticipando la Seconda Repubblica. Tentò di stroncare quella lotta di classe che aveva messo contro capitale e lavoro, una sorta di opzione liberal-laburista che avrebbe fatto parlare a lungo analisti ed economisti.
Tutto qui?…
Possiamo dunque celebrarlo anche noi? Direi di no. Craxi sarebbe stato davvero e fino in fondo il più prestigioso statista del secondo dopoguerra se avesse avuto la forza e la volontà di denunciare Tangentopoli, il finanziamento illecito e sistematico ai partiti, talvolta maldestramente dirottato sui conti correnti bancari di singoli esponenti politici e dirigenti pubblici… Peccato non abbia avuto l’impeto e la rettitudine per mettere sottosopra quel sistema orribile prima della sua requisitoria sferzante in Parlamento e prima dei famigerati interrogatori del giudice Di Pietro nell’aula del Tribunale di Milano. Era troppo tardi per il “je accuse”.
È un fatto che il malaffare imperversasse e che Dc, Psi e quasi tutti i partiti dell’epoca, Msi escluso, partecipassero al codice delle tangenti.

Qui sta la differenza e non è da poco, non si può minimizzare, tantomeno cancellare. Si può esprimere un giudizio in parte positivo su alcune scelte politiche di Bettino a Craxi, ma resta irrisolta la questione morale italiana. E non può ritenersi secondaria perché Il metodo tangentizio aveva anche un impatto sociale, prima che economico e stava scavando quel solco ancora non ripianato tra popolo e istituzioni. Una tragedia vera che ha minato la credibilità della Repubblica e intaccato, nelle risposte demagogiche e pauperiste di movimenti impreparati a guidare una nazione, le fondamenta dello Stato italiano e il suo ruolo nel mondo.

Fabio Rampelli