L’agonia dell’ex Ilva tra la sentenza Tar e il processo sulla “trattativa dei Riva con la politica”

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“Ilva, bypassando gli organi amministrativi, puntava ad un proficuo confronto con gli organi politici”. Lo ha detto stamattina il pm Remo Epifani continuando la requisitoria al processo in Corte d’Assise, a Taranto, per il disastro ambientale imputato, insieme ad altri gravi reati, all’Ilva condotta dai Riva. Per il pm, il modello operativo di Ilva per quanto ottiene il rilascio delle autorizzazioni di cui aveva bisogno per l’esercizio operativo della fabbrica, soprattutto quelle di carattere ambientale, era quello di discuterne direttamente con i politici e non con i tecnici e le figure amministrative degli enti competenti. E in questo schema, il pm Epifani ha collocato l’ex governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, e l’ex assessore all’Ambiente della Provincia, Michele Conserva, 3 dei 47 imputati del processo ‘Ambiente Svenduto’. Riferendosi alla posizione di altri 2 imputati nel processo, il pm ha ricordato che “a marzo 2010 Girolamo Archina’ dice a Fabio Riva che ‘bisogna darsi da fare sulla parte politica che le dicevo perche’ ho risposte che non si stanno interessando’. Archina’ – ha aggiunto il pm relativamente all’aspetto relativo alle autorizzazioni per le discariche di Ilva – frequentava assiduamente gli uffici della Provincia”. Si è arrivati così, ha detto ancora il pm, a “provvedimenti adottati in assenza di condizioni di legge”, ma anche a “minacce di sollevazioni dall’incarico” verso i funzionari e i dirigenti della Provincia di Taranto e di “invito a dimettersi”. Questo perché, secondo il pm, funzionari e dirigenti non volevano fare quello che chiedevano gli amministratori provinciali perché non c’erano le condizioni normative. Il pm ha parlato di “evidente la finalità di far conseguire all’azienda” ciò che aveva chiesto. “Nella Provincia di Taranto – ha rilevato il pm -, Ilva agiva attraverso la figura di Archinà, figura di primo piano di questo processo”, chiamato a seguire “gli affari, anche illeciti dell’azienda”. A proposito del ruolo di Archinà, dipendente della società siderurgica, che i Riva, proprietari Ilva, utilizzavano per i rapporti con la politica e gli amministratori, il pm ha detto che “aveva una sofisticata strategia volta anche ad influire sui mezzi di informazione allorquando si tratta di conseguire un interesse aziendale”. “Ci sono tanti episodi che lo coinvolgono e che lo rendono in dominus delle trame illecite di Ilva, ricevendo esplicito appezzamento da parte del suo datore di lavoro – ha dichiarato Buccoliero -. Di Archinà, Ilva non può fare a meno”. In mattinata, Buccoliero ha chiuso la sua requisitoria che era cominciata ieri pomeriggio, e, dopo una breve interruzione, l’udienza è ripresa con l’intervento del pm Giovanna Cannarile. Dopo di lei, deve ancora parlare un ultimo pm, Raffaele Graziano. La serie, per la pubblica accusa, è stata aperta dal pm Mariano Buccoliero che è quello che ha parlato più di tutti: 7 udienze distribuite su 3 settimane a partire dall’1 febbraio. Domani l’accusa chiuderà la requisitoria e formulerà le richieste alla Corte d’Assise presieduta da Stefania D’Errico, a latere Fulvia Misserini. Sentenza Tar, legali: rischio crollo forni e distruzione asset La fermata forzata degli impianti,stabilita dal Tar di Lecce “senza la disponibilità di una stazione di miscelazione azoto e metano, non permetterebbe la tenuta in riscaldo dei forni e ne conseguirebbe il loro crollo e quindi la distruzione dell’asset aziendale di proprietà di Ilva in Amministrazione Straordinaria”. Lo apprende l’Ansa da fonti legali vicine al dossier Arcelor Mittal, che evidenziano “rischi per la sicurezza” e il fatto che ci sarebbe un “totale blocco della produzione dello Stabilimento, qualificato di ‘interesse strategico , l’unico sul territorio nazionale a ‘ciclointegrato’ per la produzione di acciaio”. La sentenza del Tar di Lecce stabilisce che ArcelorMittal Italia debba procedere allo spegnimento degli impianti dell’area a caldo entro 60 giorni e respinge il ricorso di ArcelorMittal Italia e da Ilva in A.S., contro l’ordinanza del sindaco di Taranto del 27 febbraio del 2020. Il provvedimento del sindaco riguardava il “rischio sanitario derivante dalla produzione dello stabilimento” ed “emissioni in atmosfera dovute ad anomalie impiantistiche” sulla legata da una parte ad eventi di agosto 2019 del “camino E312″e, dall’altra, su generici eventi “odorigeni avvertiti nella città di Taranto tra il 23 e il 24 febbraio 2020”. In seguito a sopralluoghi, ispezioni e relazioni, depositate al Tar di Lecce, non solo AMI, ma neanche il ministero dell’Ambiente ed Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’ente deputato alla verifica del rispetto delle prescrizioni Aia, hanno individuato una correlazione tra questi eventi e il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico. Infatti, spiegano le fonti, “non è stato possibile individuare, come invece chiedeva l’ordinanza sindacale, “sezioni di impianto interessate alle criticità emissive” né le eventuali misure necessarie a risolvere tali pretese criticità”. Quindi, evidenziano le fonti legali, “senza alcun supporto tecnico da parte di Ispra e del Mattm, la sentenza del Tar Lecce richiede di avviare le procedure di fermata dello Stabilimento, con irrimediabile danneggiamento degli impianti nonché rischi per la sicurezza”. La fermata dell’area a caldo comporterebbe in ogni caso “un totale blocco della produzione dello stabilimento,qualificato di ‘interesse strategico nazionale’ e la cui produzione, a norma di legge, è invece assolutamente necessario mantenere e salvaguardare, trattandosi peraltro dell’unico impianto sul territorio nazionale a ‘ciclo integrato’ per la produzione di acciaio”. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Taranto-Ex-Ilva-sentenza-Tar-chiudere-forno-a-caldo-e-processo-disastro-ambientale-Riva-6285e160-281e-4b4c-b13d-b756fd0e8898.html