L’anno che verrà: paure e aspettative

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L’anno nuovo comincia all’insegna dell’incertezza e delle preoccupazioni dei lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori e commercianti, ma anche dei lavoratori dipendenti che temono l’ora x dello sblocco dei licenziamenti. Il risultato è che il lavoro torna al primo posto nella classifica delle preoccupazioni per il futuro, mentre la situazione economica degli italiani si conferma critica: un intervistato su due (49% ) dichiara di essere attualmente in modesta o grave difficoltà economica. Il 6% del campione si dice costretto a fare debiti. Un ulteriore 15% dichiara che deve attingere dai propri risparmi e un altro 28% dichiara che le proprie entrate sono appena sufficienti per arrivare a fine mese. La paura e l’incertezza per il futuro riducono ulteriormente la già scarsa propensione all’investimento. Sono i dati principali del nuovo rapporto dell’Osservatorio Futura che nel corso del 2020 ha seguito con vari approfondimenti l’evoluzione dell’opinione di lavoratori e imprenditori.

Sotto il mattone
Sembra una contraddizione, ma non lo è. Nonostante tutto, rimane elevata la propensione al risparmio: il 41% dei rispondenti al sondaggio dell’Osservatorio Futura (era il 42% a ottobre e il 43% a settembre) riesce a destinare al risparmio una quota delle proprie entrate mensili e il 15% (quota più bassa da giugno) riesce a destinarvi oltre il 10%. La paura e l’incertezza per il futuro riducono ulteriormente la già scarsa propensione all’investimento soprattutto da parte degli imprenditori. Dati confermati anche da altre ricerche e rapporti. Per l’Abi, associazione nazionale delle banche, riprende quota la corsa verso la liquidità, che in realtà è un fenomeno in atto da diversi mesi e che nel mese di settembre ha confermato la sua ascesa: si registra infatti un incremento della liquidità sui depositi anno su anno dell’8%, a quota 1.682 miliardi, in aumento di 125 miliardi.

Lo stesso trend lo ritroviamo in uno studio curato dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi. “Nonostante una riduzione del Pil che dovrebbe essere valutata in circa 168 miliardi di euro (122 dei quali già accertati nei primi nove mesi dell’anno) sono disponibili sui conti 126 miliardi in più a settembre 2020 rispetto a un anno prima. Il boom del risparmio è confermato anche da Banca d’Italia.

Ma intanto aumenta il disagio
La quota di chi versa in condizioni di disagio economico (con le famiglie costrette a contrarre debiti) raggiunge, si legge nel Rapporto dell’Osservatorio, il picco tra gli imprenditori e tra i disoccupati. Si conferma tra gli intervistati una diffusa e profonda preoccupazione per la situazione economica e lavorativa. Il timore più alto è appannaggio di disoccupati e persone in cerca di prima occupazione ed è quello di non riuscire a trovare un lavoro. Preoccupazioni diffuse sono anche quelle per il futuro dei propri figli, la perdita del lavoro per i propri cari, la perdita o riduzione de i risparmi, la perdita o riduzione della pensione. Il 14% degli occupati prima dell’emergenza non ha ancora ripreso a lavorare (erano il 18% a ottobre). Le cause che hanno comportato l’interruzione del lavoro, sono principalmente l’entrata in cassa integrazione e il fatto che l’attività svolta sia stata vietata per il pericolo di contagio.

Il futuro prossimo venturo
Le aspettative per il futuro non sono migliori: 1 italiano su 2 teme un peggioramento della situazione economica del Paese nei prossimi 12 mesi e il 36% (era il 33% a ottobre) prevede un peggioramento della propria situazione familiare. Le aspettative, tanto per la situazione economica generale che per quella familiare, sono in peggioramento e raggiungono il punto più basso da giugno. La disoccupazione è per gli italiani il problema più grave da risolvere. Ed è tornato negli ultimi mesi prepotentemente alla ribalta il tema della sanità, con l’acuirsi della gravità della pandemia.

Gli italiani riscoprono la sanità pubblica
La valutazione sulla capacità del sistema sanitario (sia a livello nazionale che regionale) di rispondere a emergenze quale quella determinata dal Covid è polarizzata tra i sostenitori e i detrattori. La valutazione appare leggermente migliore per il sistema sanitario della regione di residenza rispetto a quello nazionale. Emergono ovviamente forti differenze territoriali nei giudizi. Quelli più negativi arrivano dai residenti nell’area Sud e Isole (da notare come i cittadini di questa zona, a differenza degli italiani residenti nelle altre aree del paese, abbiano una percezione molto più negativa del sistema sanitario regionale di riferimento rispetto a quello nazionale). Nel Nord Est la valutazione del sistema sanitario regionale è di gran lunga migliore di quella sul sistema sanitario nazionale.

Secondo gli italiani il sistema sanitario deve comunque mantenere una significativa impronta pubblica. Il ruolo dei privati è considerato utile, ma solo come integrazione (e non in sostituzione) di quello pubblico: 6 italiani su 10 credono che il sistema misto (pubblico+privato) sia il più efficace, con la maggioranza delle preferenze che va a un sistema in cui prevalga la gestione pubblica(30%). Poco più di un quarto degli intervistati (27%) ritiene che il sistema sanitario migliore sia quello totalmente pubblico.

Tutto (o quasi) da casa
Il nuovo rapporto dell’Osservatorio conferma la grande trasformazione in corso. Il 49% di chi lavorava all’inizio dell’emergenza ha fatto uso dello smart working, almeno per un periodo. Oltre un quarto degli intervistati (il 29% per la precisione) ha sperimentato lo smart working a causa dell’emergenza. Il 62% degli intervistati – erano il 64% a ottobre, il60% a settembre, il 67% a giugno e il 62% a luglio – giudica lo smart working in modo positivo. Il 25% ne ha una considerazione molto positiva. Il giudizio sullo smart working peggiora lievemente rispetto a ottobre. Tra i punti di forza di questo tipo di organizzazione del lavoro, oltre alla prevenzione del contagio, si segnalano la possibilità di avere più tempo a disposizione per sé e per la famiglia, di coniugare meglio lavoro e tempi di vita (work life balance), di ottenere risparmi (legati in particolare alla riduzione dei costi di viaggio e ai pranzi fuori).

Tra i punti di debolezza vengono invece rimarcati l’isolamento sociale (una ridotta socializzazione, la difficoltà a coltivare le relazioni con i colleghi) e l’orario dilatato. Un lavoratore su due (senza considerare gli imprenditori) gradirebbe lavorare in smart working, dopo l’emergenza sanitaria almeno per qualche giorno alla settimana. Questa soluzione è privilegiata da chi lavorava da remoto anche prima dell’emergenza sanitaria. L’indagine dell’Osservatorio conferma uno dei dati più importanti: la richiesta ai sindacati di contrattare le nuove condizioni di lavoro. Tra i lavoratori che vorrebbero continuare ad utilizzare lo smart working anche dopo l’emergenza, è infatti molto sentita la necessità di regolamentare lo strumento nei contratti nazionali di lavoro: lo richiedono 8 lavoratori su 10: Il messaggio è inequivocabile. Il banco di prova saranno i contratti nazionali.