Lavoro, niente di nuovo dalle parole di Draghi

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Se io fossi Draghi, mi sentirei profondamente offeso dall’essere considerato come un Forrest Gump che, per ogni idea esternata, anche la più ovvia, trova turbe di commentatori pronti a vedervi un lampo di genialità e una strategia siderale. Nel suo discorso programmatico, subito elogiato come le 12 tavole di Appio Claudio o le 95 tesi di Lutero, Draghi ha declinato (e non poteva essere diversamente) la solita scaletta – debito pubblico, giovani, donne, scuola, Mezzogiorno, ecc. – che si ritrova in tutti i discorsi programmatici di tutti i presidenti del Consiglio, da quando esiste la Repubblica. Per ogni punto della scaletta ha prospettato soluzioni e paventato difficoltà per grandi linee. Poi ha concluso la sua replica al Senato dicendo onestamente: “Vi ringrazio della stima che mi avete mostrato, ma anch’essa dovrà essere giustificata e validata nei fatti dall’azione del governo da me presieduto”. E già mentre pronunziava queste parole, l’impegno di realizzare “un’effettiva parità di genere” era vanificato dal fatto incontestabile che, su 23 ministri, solo 8 sono donne.

Gli unici concetti sicuramente nuovi rispetto a quelli sciorinati in tutti gli altri discorsi programmatici riguardano la sanità, i vaccini e il Recovery plan per il semplice fatto che nessun altro presidente del Consiglio ha mai esordito in tempo di pandemia. Per mia deformazione professionale, ho ascoltato e poi letto con maggiore attenzione i passaggi riguardanti il problema lavoro. Se ho ben contato, su 5.630 parole contenute nel discorso, “lavoro” compare esplicitamente solo 15 volte, con esiti decisamente deludenti. In tre casi la parola viene usata in senso generico, come quando Draghi ricorda che “il precedente governo ha già svolto una grande mole di lavoro”. In altri due casi viene evocata in connessione a eventi storici, come quando Draghi dice: “l’Italia si risollevò dal disastro della Seconda guerra mondiale grazie a investimenti e lavoro”.

Quattro volte la parola “lavoro” è usata per indurre l’uditorio a mettersi nei panni di chi lo perde: “Dobbiamo occuparci di chi soffre adesso, di chi oggi perde il lavoro”. “È innanzitutto ai giovani, alle donne e ai lavoratori autonomi che bisogna pensare quando approntiamo una strategia di sostegno delle imprese e del lavoro, strategia che dovrà coordinare la sequenza degli interventi sul lavoro”.

Oppure Draghi ricorre al lavoro per offrire un appiglio all’orgoglio e all’ottimismo: “La capacità di adattamento del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti hanno permesso di preservare la forza lavoro in un anno drammatico”. In un solo caso si accenna al mercato del lavoro: “La globalizzazione, la trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continui adeguamenti nella formazione universitaria”. Ma non si fa nessun riferimento al problema cruciale della disoccupazione tecnologica. Due passaggi sono dedicati da Draghi alle politiche del lavoro. Uno le mette in rapporto alla scuola: “Sottolineeremo il ruolo della scuola che tanta parte ha negli obiettivi di coesione sociale e territoriale e quella dedicata all’inclusione sociale e alle politiche attive del lavoro”. L’altro è leggermente più ampio, forse in omaggio al M5S che considera cruciale questo argomento: “Centrali sono le politiche attive del lavoro”. Poi aggiunge: “Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni. Questo progetto è già parte del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza ma andrà anticipato da subito”. Neppure un cenno al Reddito di cittadinanza.

Non poteva mancare almeno un rapido passaggio sul rapporto tra lavoro e Mezzogiorno dove “aumento dell’occupazione, in primis, femminile, è obiettivo imprescindibile. (…) Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare lavoro”. Un altro rapido accenno al lavoro si trova in un passaggio con cui si promette di aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile “favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro”.

Infine, un quasi inatteso elogio dello smart working e della ex ministra della PA: “Nell’emergenza l’azione amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche, ha dimostrato capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza”. Artefice di questo impegno è stata la ministra Dadone, ma Draghi ne ha interrotto la meritevole azione nel ministero della PA per declassarla spostandola alle Politiche giovanili.                                                                               di Domenico De Masi