Le avete viste le immagini del dittatore turco mentre minaccia l’Europa di rispedirvi milioni di profughi siriani?

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Forse sono il segno più eclatante di quel ricatto disumano condotto sulla pelle di persone già torturate da sofferenze inaudite. In un pugno di giorni i morti sarebbero centinaia e centomila gli sfollati. Per una operazione militare battezzata “sorgente di pace” un consuntivo che parla da sé. Il Pentagono sembra aver corretto gli spropositi del peggior presidente nella storia secolare degli Stati Uniti. Sullo sfondo il pericolo di una ripresa militare di Daesh e la liberazione di alcune migliaia di foreign fighters europei.

Ecco, l’Europa. In tutto questo la sua afonia o latitanza toglie ossigeno alla speranza di ridare senso alla parola, al concetto di una nostra specifica forma di civiltà. Se la minaccia odiosa della Turchia (“vi ammazziamo con una invasione di profughi”) dovesse spingere il continente a voltarsi dall’altra parte avremmo messo una pietra tombale sulla filosofia di un’Europa dei popoli, del dialogo, della pace. I curdi sono stati protagonisti della lotta contro l’Isis, sono il popolo più numeroso al mondo privo di una terra propria e uno Stato riconosciuto, coltivano principi di giustizia e rispetto delle donne sconosciute a quelle latitudini e oggi vengono sacrificati sull’altare di cosa? Di una sciagurata politica di Erdogan, della miseria morale del presidente americano e di un’Europa della quale domani non vorremmo doverci vergognare.

Si studino sanzioni immediate, si valuti in un pieno coinvolgimento dell’Onu la via (complicata fin che si vuole) di una forza internazionale sul terreno, si levino voci nitide e mobilitazioni diffuse per accendere i riflettori sulla tragedia in corso. Se alla fine di questa storia avremo parlato più di come impedire l’aumento dell’Iva di coloro che la repressione condanna a morte sarà complicato trovare i motivi per assolvere noi stessi.