Le foreste vetuste tra mito e realtà

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Nella terminologia anglosassone si chiamano old-growth forests. Sono le foreste vetuste che, da un punto di vista ecologico, sono l’ultimo stadio della dinamica forestale e possono, in una certa misura, essere paragonate allo stadio climax di Clements, ovvero quel concetto che vedeva l’ecosistema come un “superorganismo” in grado di trovare e mantenere un proprio equilibrio che, però, è stato recentemente confutato e sostituito da una visione più dinamica degli ecosistemi forestali nella quale svolgono un ruolo di fondamentale importanza i disturbi naturali. Disturbi naturali quali “eventi naturali che provocano una variazione di struttura dell’ecosistema, della comunità o della popolazione così modificano le caratteristiche fisiche e funzionali del sistema”. Questi eventi (incendi, schianti da vento, pullulazione di insetti) sono presenti in tutti gli ecosistemi forestali (vedi Fig. 1) con una grande variabilità di modalità e frequenza legata alle caratteristiche ecologiche e climatiche locali e regionali. Le foreste vetuste sono quindi lo stadio finale della dinamica forestale e sono modellate da disturbi a piccola scala e di bassa magnitudo, e lo stadio di vetustà può mantenersi anche a lungo nel tempo e termina con il verificarsi di un disturbo di forte magnitudo che comporta la quasi totale eliminazione del popolamento precedente e l’insediamento di una nuova coorte (disturbo stand replacing).

Spesso si confondono le foreste vetuste con le foreste “vergini”, cioè quelle foreste primarie che non hanno mai avuto significativi impatti antropici. Non tutte le foreste vergini sono però foreste vetuste ma solo quelle che sono nelle fasi più mature del processo di successione (il verificarsi di un disturbo provoca l’insediamento di nuove coorti che sono comunque foreste vergini ma non sono ancora vetuste). Allo stesso modo una foresta vetusta può avere origine anche da popolamenti che sono stati utilizzati dall’uomo se, dopo il disturbo antropico, questa ha avuto tempo sufficientemente lungo privo di disturbi (antropici o stand replacing) per sviluppare le caratteristiche tipiche dello stadio di vetustà. Il tempo necessario a sviluppare queste caratteristiche può variare da 1 a 2 secoli nelle foreste boreali, fino a diverse centinaia di anni in alcune foreste temperate in funzione delle specie forestali presenti e della fertilità stazionale.
Come si riconoscono le foreste vetuste

Le foreste vetuste sono individuate e descritte principalmente utilizzando le caratteristiche strutturali (caratteristiche fisiche degli elementi che compongono l’ecosistema e loro distribuzione spaziale). L’utilizzo delle caratteristiche strutturali è giustificato dal fatto che queste sono più semplici da descrivere rispetto ad altre (ad esempio i processi ecofisiologici o i flussi degli elementi), sono dei buoni indicatori del funzionamento e della diversità complessiva e sono modificate dai disturbi naturali e dalle manipolazioni antropiche. Le principali caratteristiche strutturali che differenziano una foresta vetusta sia dagli stadi più precoci del processo di dinamica forestale e sia dalle foreste coltivate sono (Fig 2): la presenza di abbondante necromassa, e in particolare di elementi di grandi dimensioni di legno morto (coarse woody debris) in diversi stadi di decomposizione; la presenza di alberi di grandi dimensioni e di età molto elevata (l’età massima degli alberi è sia funzione delle caratteristiche di longevità delle singole specie e sia funzione del regime di disturbi naturali) e la struttura verticale e orizzontale complessa che si origina sia in seguito a processi autogeni (competizione) e sia in seguito a piccoli disturbi locali che provocano la morte di alberi singoli o a gruppi.
Tra le definizioni di foresta vetusta ce ne sono anche di più “rigorose” che se applicate in Italia e nella maggior parte dei paesi europei porterebbero alla constatazione che ormai nelle foreste temperate europee le foreste vetuste sono molto rare (Fig. 3) o, come in Italia, assenti. Il concetto di foresta vetusta va però al di la degli aspetti naturalistici e del rigore ecologico ed è legato anche alla sensibilità e alla disponibilità di popolamenti aventi caratteristiche adeguate a scala continentale, nazionale e regionale per cui ci sono definizioni più ampie e adatte anche a individuare, in contesti come quello italiano, le aventi caratteristiche strutturali distinte sia dagli stadi più giovanili e sia dalle foreste coltivate.
Foreste vetuste, quante ne sono rimaste

A livello planetario solo circa un quarto circa delle foreste è considerato intatto e di queste solo una parte si trova nello stadio di foresta vetusta. Se analizziamo più in dettaglio la situazione possiamo però evidenziare che il 70% delle foreste vetuste del nostro pianeta è ospitato in soli tre stati: il Canada, la Russia e il Brasile. In Canada e in Russia troviamo foreste boreali mentre in Brasile foreste equatoriali e tropicali. In Europa solo il 4% delle foreste è considerato “indisturbato” e una percentuale ancora più ridotta può essere definita foresta vetusta e la maggior parte di queste è situato nelle foreste boreali. Le foreste temperate, soprattutto quelle europee, sono quelle che hanno avuto il maggiore impatto antropico e dove è più difficile individuare foreste o singoli popolamenti in buono stato di conservazione.

Il Piemonte, come tutta l’Italia, è una regione nella quale le foreste da millenni sono utilizzate intensamente dall’uomo sia direttamente – ad esempio tagli del bosco – e sia indirettamente – ad esempio pascolo, raccolta della lettiera – dall’uomo. Nei boschi coltivati, i turni brevi e la frequenza degli interventi hanno mantenuto i popolamenti forestali biologicamente giovani e, spesso, hanno provocato la scomparsa delle specie legate agli stadi più maturi e ai boschi vetusti. In questi ultimi decenni la pressione antropica nei confronti della foresta si è ridotta e molte foreste sono in stato di abbandono colturale. Molti dei popolamenti forestali presenti in regione sono stati però profondamente modificati, nella composizione e nella struttura, dall’uomo e non possono, se non in tempi lunghissimi, sviluppare caratteristiche di vetustà; in altri popolamenti più naturaliformi questo periodo di tempo, alcuni decenni, non è sufficiente a sviluppare caratteristiche strutturali normalmente associati alle foreste primarie vetuste. In Piemonte é possibile però individuare popolamenti che presentano alcuni elementi di vetustà: ad esempio popolamenti che, anche se nel passato sono stati utilizzati dall’uomo, hanno conservato alberi molto vecchi, popolamenti che sono stati esclusi da cicli colturali da lungo tempo, popolamenti che si trovano in aree particolarmente remote e poco raggiungibili, popolamenti che sono stati “banditi” cioè protetti già a partire dal Medioevo per l’importante ruolo di difesa dei centri abitati dalla caduta di valanghe e massi, popolamenti che in seguito a contenziosi non sono stati oggetto di utilizzazioni per lunghi periodi di tempo. Tra questi popolamenti in Piemonte possiamo citare la cembreta dell’Alevé (Fig. 4) con pini cembri che superano i 700 anni di età, alcuni lariceti del Veglia-Devero anche in questo caso con individui che superano i 700 anni di età (Fig. 5), alcune bandite (ad esempio Palanfré, Fondo in Valchiusella, diverse in valle Susa e Chisone) cioè quei boschi che per la loro posizione proteggono centro abitati dalla caduta di valanghe e massi e sono stati quindi soggetti a una gestione molto conservativa a partire dal Medioevo. Questo elenco non è sicuramente esaustivo e, considerando l’elevato grado di tutela delle foreste e la maggiore consapevolezza da parte dei gestori delle risorse naturali sull’importanza di questi popolamenti, in tempi medio-lunghi le foreste vetuste piemontesi e italiane andranno sicuramente ad aumentare.
Perché sono importanti le foreste vetuste?

I popolamenti vetusti hanno una grande importanza dal punto naturalistico in quanto ospitano una flora e una fauna peculiare e che non trova ospitalità nelle fasi iniziali della dinamica forestale. Un esempio sono le specie saproxiliche cioè quelle che, almeno in una fase della loro vita, dipendono dalla presenza di legno morto e in particolare di legno morto di grandi dimensioni (Fig. 6). Dato che l’intenso utilizzo della foresta da parte dell’uomo ha reso rare foreste con queste caratteristiche e molte specie saproxiliche sono molto rare o, in alcuni casi, localmente estinte.
I popolamenti vetusti sono importantissimi anche dal punto di vista scientifico: sono utilizzati per lo studio dei processi naturali che avvengono in foresta in assenza di influenza antropica, per lo studio dei regimi di disturbi naturali e, in modo più articolato, sui processi dinamici a essi abbinati, sono dei riferimenti per lo sviluppo di modelli di selvicoltura naturalistica basati sull’imitazione dei processi naturali e, più in generale, per lo studio della gestione sostenibile delle risorse naturali. Le foreste vetuste, in quanto luogo dove i processi demografici e di accrescimento non sono influenzati dall’uomo, svolgono un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda lo studio dell’impatto del cambiamento climatico oltre ad essere degli importanti sink di carbonio.
Infine le foreste vetuste hanno un importante valore culturale in quanto rappresentano l’eredità dei boschi primigeni che hanno avuto un carattere di sacralità in molte culture. Le foreste vetuste rappresentano anche un elemento simbolico che unisce le motivazioni etiche degli idealisti, ad esempio persone come John Muir ed Henry David Thoreau, che hanno sostenuto l’istituzione dei primi parchi nazionali, e le conoscenze scientifiche e l’immaginario delle attuali generazioni (Fig. 7).

E’ quindi per tutti noi un impegno difendere le foreste che sono vetuste, o che hanno caratteristiche di vetustà, che ancora fanno parte del nostro patrimonio forestale e fare in modo che in futuro, anche nelle foreste gestite, aumentino gli elementi strutturali (alberi grandi e vecchi, legno morto) che caratterizzano le fasi più mature della dinamica forestale.
I parchi naturali e le aree protette hanno un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la conservazione delle rimanenti foreste vetuste sia per quanto riguarda la diffusione di una cultura attenta e consapevole al ruolo, ecologico, culturale, didattico e scientifico, che può essere svolto da questi monumenti naturali.