Lettera Confedes Unione Cattolica

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“Governo e Regioni integrino subito i sistemi di garanzia creditizia e blocchino i 30 milioni di cartelle esattoriali in arrivo dopo capodanno”

L’allarme di Ivano Tonoli, Segretario del partito Unione Cattolica e Presidente della Confederazione datoriale e sindacale CONFEDES: “Di fronte a una seconda ondata più estesa, aggressiva e massiccia della prima, i DL cura Italia e Liquidità di aprile-giugno sono oramai superati, le Banche devono essere messe in condizione di operare con strumenti istituzionali più robusti che permettano di mettere in circolazione più risorse a favore dell’economia domestica e aziendale”

“Che la filosofia del decreto Ristori sia profondamente sbagliata fin dal nome, oltre che nel merito, lo si evince dal fatto che occorra emetterne uno a raffica dietro l’altro, oramai siamo al quarto, mentre a livello nazionale e locale tutti i vari costi fissi fiscali e sanzionatori continuano a correre e presenteranno un conto drammatico a partire dal 2 gennaio”

Il “decreto Ristori”, non si capisce bene perché il Governo Conte lo abbia battezzato così: forse per far intendere o credere una sorta di vicinanza o assonanza semantica alla categoria dei ristoratori messa in ginocchio dal covid-19 e dai provvedimenti del primo e dell’attuale secondo lockdown?

Perché più che di un “ristoro”, il settore ricettivo, che rappresenta un quarto del PIL nazionale, con medie più alte in molte aree del NordOvest, ha urgente bisogno di un “risarcimento”, che è cosa e concetto ben diverso. Ristoro è pensare in maniera assurda di risollevare con pochi miliardi un insieme di attività, la grande maggioranza delle quali a conduzione familiare, che perderà 40 miliardi entro la fine di quest’anno e che avrebbe bisogno di un risarcimento complessivo conseguente. Più chiaro di così.

E la si faccia finita, una volta per tutte, con la ridicola filastrocca di fonte governativa delle sacche di evasione: fra scontrini e fatture elettroniche, Isa e studi di settore, accertamenti induttivi e deduttivi di ogni genere, integrazione con le leggi in materia di pubblica sicurezza, igiene e sanità, se vi è un ambito dove tutti gli incassi e i corrispettivi sono ormai tracciati, è proprio quello dei cosiddetti “pubblici esercizi”.

Insomma, nel campo veramente sfidante delle politiche economiche e per il sostegno alle attività aziendali, la sensazione è che palazzo Chigi sia un fortino asserragliato che prende la mira con armi più che spuntate: non è pensabile affrontare con gli stessi provvedimenti di marzo e aprile-giugno – DL cura Italia e Liquidità – una pandemia la cui seconda ondata si è fin da subito, in ottobre, presentata come esponenzialmente più aggressiva, virulenta ed estesa della prima.

Per esempio: perché Conte, in questa fase più che emergenziale, ha totalmente dimenticato il settore bancario, il solo che, fra moratorie e proroghe di vecchi prestiti ed erogazione di nuovi crediti, abbia immesso liquidità nel sistema produttivo e domestico per centinaia di miliardi in pochi mesi?

Perché il Governo non fa proprie le raccomandazioni venute dai nostri più autorevoli rappresentanti dell’economia creditizia in Italia e in Europa – dai Presidenti Antonio Patuelli (ABI) e Francesco Profumo (ACRI) al Prof. Beppe Ghisolfi alto esponente nei Gruppi europeo e mondiale delle Casse di Risparmio – a proposito di una serie di allarmi fra cui una tassazione onnivora a danno delle Fondazioni Bancarie e una normativa nazionale ed europea devastante per quel che riguarda le nozioni legislative di crediti deteriorati e, dal prossimo primo gennaio, di “default” approvata dal Parlamento Europeo (nel silenzio di pressoché tutti i Gruppi politici a Strasburgo)?

Come mai, nei decreti varati dallo scorso marzo in avanti, per un totale stanziato e impegnato di circa 100 miliardi di euro – sebbene l’economista Carlo Cottarelli abbia tuttavia ricordato che la BCE aveva messo a disposizione del nostro Paese prestiti di fatto perpetui per ben oltre 200 miliardi di euro da attingere lungo il 2020 (Conte, Gualtieri e Patuanelli di nuovo clamorosamente assenti) –; ebbene, come mai, sul totale, appena 7 miliardi sono stati dedicati all’integrazione del fondo di garanzia per le Aziende piccole e medie presso il Mediocredito centrale?

Chiediamo che i 15 miliardi ancora non spesi, del totale dei primi 100 fin qui decretati da Conte, Pd e 5 stelle, siano immediatamente utilizzati per il rafforzamento del Fondo di garanzia creditizia e per l’integrazione dei fondi non di elemosina ma di risarcimento alla tedesca dei minori o azzerati fatturati causa lockdown, in un mix bilanciato e virtuoso fra credito agevolato e fondo perduto.

Ciò in attesa che il fantomatico scostamento di bilancio, sui cui effetti pratici conserviamo tutte le riserve del caso viste le incertezze del Recovery fund, e i rischi o di perderlo o in parte di non riceverlo neppure, si muova nella stessa direzione.

Auspichiamo altresì che pure le Regioni, impegnate nel varo di provvedimenti a sostegno delle aziende e delle categorie più colpite, vorranno agire in base agli stessi parametri, perché è meglio rafforzare il sistema delle garanzie reali, e attivare così nuove linee di finanziamento, piuttosto che prospettare una tempesta di micro-aiuti che poi si traduce solo in siccità e insufficiente liquidità per le singole imprese e famiglie.

Concludiamo con un’altra lacuna molto grave di cui Conte, questa volta con la ministra Azzolina, si è reso colpevole: non avere utilizzato i passati mesi estivi – oltre che per metterci al riparo dalla seconda ondata virale – per una riforma che introducesse in via definitiva l’educazione finanziaria nelle scuole. La battaglia di pionieri come l’amico Beppe Ghisolfi, mai come in questo travagliato momento storico avrebbe potuto trovare il proprio più idoneo compimento, e una simile innovazione sarebbe stata ulteriormente valorizzata dalla didattica a distanza resa obbligatoria in molte aree del Paese, con benefici che dagli studenti si sarebbero estesi alle loro famiglie.

Del resto, a forza di parlare di banchi a rotelle e di monopattini, probabilmente il Governo qualche rotella l’ha perduta per strada e non ha prestato caso né alle precedenze né alle priorità. Lui non cadrà, il Paese purtroppo tale rischio lo corre.

Ivano Tonoli

Segretario Partito Unione Cattolica

Presidente CONFEDES