Libia, ancora vittime civili

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Almeno 7 civili sarebbero rimasti uccisi e altri 17 feriti, nel bombardamento della residenza universitaria di Tripoli, utilizzata come ricovero per centinaia di sfollati dai quartieri periferici della capitale, dove da mesi imperversano gli scontri armati tra l’Esercito Nazionale Libico di Haftar e gli uomini del Governo di Accordo Nazionale di Al Serraji. Lo denunciano fonti mediche del Ministero della Salute libico, accusando ancora una volta Haftar di violare le convenzioni internazionali con attacchi indiscriminati che coinvolgono la popolazione civile. Il comando dell’operazione “Vulcano di Rabbia”, con cui ormai da un anno il governo di Tripoli resiste all’assedio delle forze della cirenaica, scrive sulla sua pagina facebook di aver colpito con i droni la base aerea di Watiyah, distruggendo due sistemi russi di difesa antiaerea prima che fossero installati. La sala operativa dell’”Operazione Dignità”, sostiene di aver abbattuto uno di questi droni nemici ad Al Ajilat. Ancora questa mattina si segnalano bombardamenti con artiglieria pesante sulle aree di Al Hadabah e Abu Salim nella capitale. Si continua a combattere ad Ain Zara, Al Mashroa, Salah al Din. Mentre l’attenzione del mondo è assorbita dall’emergenza Covid19, che in Libia registra ufficialmente meno di 70 casi, il conflitto è in costante escalation. “E’ una strategia folle – ha detto il presidente FAyez Al Serraji – che rivela la debolezza di Haftar, il cui progetto per impadronirsi del potere è arrivato al capolinea”. L’esercito del Gna, riconosciuto dall’Onu, è riuscito a consolidare le difese di Tripoli, riprendendo il controllo di importanti territori perduti durante i dodici mesi di assedio alla capitale da parte dell’Lna. Ha riconquistato Sorman, Sabratha e altri centri a ovest della capitale, e non allenta la pressione base di Watyiah, importantissima per l’autoproclamato Esercito Nazionale Libico, che ha perso un centinaio di uomini per mantenerne il controllo. Le forze governative da giorni stanno bersagliano con i droni le roccaforti in mano alle tribù alleate della cirenaica; mentre Haftar risponde con nuove ondate di bombardamenti contro Tripoli, in particolare sullo scalo di Mitiga, utilizzato per i voli civili ma anche per le operazioni militari, in particolare i rifornimenti Turchi. Dopo l’intervento diretto di Ankara nel conflitto, deciso a gennaio, i rapporti di forza che sembravano aver portato Haftar ad un passo dalla vittoria, si sono modificati. Erdogan ha inviato droni, sistemi di difesa ad alta tecnologia, mezzi blindati, personale specializzato e migliaia di miliziani già utilizzati nel conflitto lungo il confine siriano, dando corpo all’alleanza siglata lo scorso autunno con Serraji per venire in aiuto dei Fratelli Musulmani, forza politica che sostiene il Governo di Accordo Nazionale. E’ un’alleanza che ha prima fortemente condizionato la conferenza di pace di Berlino, chiusa a fine gennaio senza la firma dei due avversari, e poi vanificato la tregua firmata pochi giorni prima a Mosca. Haftar ha infatti tentato di contrastare l’intervento di Ankara, intensificando gli attacchi contro le installazioni logistiche; ma Tripoli, dopo essersi rafforzata, è passata alla controffensiva. Onu e Unione Europea condannano l’escalation militare e deplorano, come fanno ormai da mesi, il coinvolgimento di vittime civili nel conflitto. In questo scenario, il 4 maggio è stata avviata la missione Irini, decisa da Bruxelles, sulla base degli accordi di Berlino, per vigilare sull’embargo Onu contro le armi in Libia. Il comando in questo momento è in mano italiana, con l’ammiraglio Fabio Agostini. Tra sei mesi sarà affidato alla Grecia. Ma la missione, soprattutto marittima, non piace a Tripoli, che accusa l’Europa di favorire in questo modo l’esercito della Cirenaica, il quale continuerebbe a ricevere via terra e aria gli aiuti dei suoi alleati (Emirati Arabi, Egitto, Arabia Saudita e, meno esplicitamente, Russia e Francia), mentre il blocco navale renderà complicato l’arrivo degli aiuti turchi al Gna, che arrivano essenzialmente via mare. Malta, preoccupata da possibili ritorsioni di Tripoli attraverso la riapertura delle rotte migratorie clandestine, la pensa allo stesso modo e si è sfilata dalla missione. La situazione, in prospettiva, rischia di allontanare ogni prospettiva di pace e cristallizzare lo scontro armato, con i due contendenti arroccati sulle loro posizioni politiche e militari. Nel frattempo, però, la Libia resta sull’orlo dell’abisso: finora il conflitto ha provocato più di 1700 morti, 17mila feriti e oltre 200mila sfollati. Le coste restano fuori controllo, appannaggio delle organizzazioni di trafficanti di uomini. E dal 17 gennaio tutti gli impianti petroliferi del paese sono paralizzati: le tribù fedeli ad Haftar, chiedendo una equa ripartizione dei profitti, continuano a bloccare la principale risorsa economica libica, con danni che finora ammontano a 4,3 miliardi di dollari.