Libia, ora fermiamo Erdogan

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Il primo obiettivo dell’Italia dopo la Conferenza di Berlino deve essere la rimozione del governo di Serraj trasformato da esecutivo di unità nazionale in fantoccio della Turchia. Se non lo faremo Ankara ci sottrarrà gas e petrolio e ricatterà con migranti e terrorismo. Rischiando d’innescare un conflitto ancor più ampio nel Mediterraneo Orientale.

L’Italia di Giuseppe Conte, la Germania di Angela Merkel e il resto dell’Europa convenuta a Berlino ed intenta ad auto compiacersi per il presunto risultato della Conferenza sulla Libia fanno veramente sorridere. Dovrebbero innanzitutto cominciare ad ammettere che la Conferenza di Berlino si è potuta svolgere solo per gentile concessione del presidente russo Vladimir Putin che lo scorso 8 gennaio ha imposto al leader di Tripoli Fayez Serraj e al suo nemico generale Khalifa Haftar un cessate il fuoco concordato con l’omologo turco Recep Tayyp Erdogan. Tutto il resto sono ininfluenti bazzecole. E la prima a saperlo è Angela Merkel che, non a caso, ha potuto concordare il calendario della Conferenza solo dopo l’incontro di Mosca con Putin.Conferenza sulla Libia a Berlino, Di Maio: “Mettere in sicurezza la Libia e il nostro Paese”
Ma Germania, Italia ed Unione Europea devono anche chiedersi come realizzare i 50 punti contenuti nella bozza conclusiva della Conferenza. Anche perché sul terreno non esiste nessuno capace d’imporli. E le decisioni irrealizzabili sono un semplice “flatus vocis”. In tutto questo la conclusione più a rischio è anche quella più importante per il futuro della Libia.

Parliamo dell’impegno, citato nel comunicato finale, all’avvio di un processo politico rivolto alla formazione di un governo unico. La comunità internazionale riunita a Berlino sembrerebbe insomma aver percepito che il presunto Governo di Unità Nazionale insediato a Tripoli nel 2016 non risponde più, a differenza di quanto deciso originariamente, alle Nazioni Unite, ma semplicemente alla Turchia.

E’ diventato insomma una pericolosa marionetta manovrata da Ankara che la utilizza per mettere a punto i propri obbiettivi geopolitici non solo in Libia, ma in tutto il Mediterraneo e nel Nord Africa. La strategia è quanto mai evidente. Il trattato turco libico firmato da Ankara e Tripoli a fine novembre punta a trasformare il Mediterraneo Orientale in una sorta di dominio esclusivo della Turchia da cui estromettere non solo l’Italia, ma anche i paesi affacciati su quel bacino e depositari di cospicui interessi energetici come Egitto, Israele, Cipro e Grecia.

Il trattato di appoggio militare a Tripoli, seguito dall’invio di qualche migliaio di mercenari jihadisti reduci della Siria e dell’Iraq, punta invece alla trasformazione della Tripolitania in una sorta di protettorato affidato alla Fratellanza Musulmana. Un protettorato da cui il Sultano potrà ricattare l’Italia e l’Europa non solo con l’arma della pressione migratoria, ma anche con quella del terrorismo. La Tripolitania rischia, insomma, di diventare il capolinea obbligato per tutti jihadisti europei reduci da Siria e Iraq pronti a sfruttare le rotte migratorie per rientrare nei paesi d’origine.Di Maio e Conte da Berlino: ‘Compiuto il passo in avanti che aspettavamo’
In tutto questo l’Italia è quella che ha più da perdere. Le mosse della Turchia puntano non solo a sottrarle il controllo dei flussi migratori e del monitoraggio del terrorismo, ma anche le risorse energetiche gestite dall’Eni. L’Italia dovrebbe essere la prima, quindi, a rivendicare l’attuazione dell’unica conclusione veramente dirimente della Conferenza. Per farlo deve sostenere con i partner europei, la Russia e gli Usa la necessità di delegittimare il cosiddetto Governo di Unità Nazionale di Serraj e sostituirlo con uno capace di rappresentare anche le fazioni fedeli ad Haftar, rimediando così agli errori commessi durante i colloqui di Skhirat del 2015.

Il che non significa portare al potere il divisivo Maresciallo, ma semplicemente rendere più marginale l’influenza turca e insediare a Tripoli un governo “super partes” in cui possano riconoscersi tutte le parti coinvolte nel conflitto libico. Solo un governo veramente rappresentativo di tutte le fazioni libiche potrà avere, in un secondo tempo, l’appoggio di una forza internazionale capace d’imporre il disarmo delle milizie e la creazione di un vero esercito nazionale.

L’Italia se vuole recuperare il suo ruolo deve impegnarsi non solo a far pressione sugli alleati europei per ottenere la rimozione di Serraj, ma anche sfruttare la propria conoscenza della Libia per proporre degli interlocutori affidabili pronti a prendere il suo posto. E, soprattutto, farsi portavoce della necessità di marginalizzare la Turchia di Erdogan. Non solo per evitare lo smembramento della Libia, ma anche per evitare un conflitto di più vasta portata che potrebbe coinvolgere tutti i paesi minacciati dall’espansionis