L’inferno delle case all’asta: così le famiglie italiane sono costrette a svendere le proprie abitazioni

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Uno dei capisaldi del nostro Paese, il possesso di una casa. Un passaggio chiave nella vita di tantissime famiglie che, a costo di innumerevoli sacrifici, sognano di poter varcare la soglia di un’abitazione di proprietà. Fino a poco tempo fa, il 70% dei cittadini del Bel Paese ne possedeva una. Cifra che, però, è drasticamente diminuita con l’inizio della crisi e la compressione dei redditi: milioni di italiani, sia privati sia aziende, non sono più stati in grado di onorare i mutui e si sono visti portare via l’immobile, venduto spesso all’asta a un terzo del proprio valore.

Una polemica che si trascina da tempo. Nel mirino, procedure opache e costose al termine delle quali il debitore non è neppure liberato interamente dal debito e non ha più accesso al credito bancario. Una beffa che, come spesso accade, è un inedito nostrano e non trova riscontro al di fuori dei confini. E così in Italia, paradossalmente, sono le stesse banche a essere preoccupate per l’aumento di persone che non possono aprire nuovi conti correnti e per i rischi reputazionali di esecuzioni talvolta affidate a soggetti terzi.

Il governo Renzi era intervenuto nel 2015 con una legge che mirava ad abbreviare l’iter delle aste e facilitare il recupero dei crediti alle banche e che però si era risolta in un mezzo disastro: secondo dati di settore, dopo la riforma lo stesso immobile che valeva 100 mila euro veniva mediamente venduto a 35 mila euro, contro i 55 mila dell’epoca pre-riforma. Tra le tante storie, c’è una che arriva dall’imprenditore Giovanni Pastore, anima dell’associazione Favor debitoris, che ha patrocinato tra i tanti il caso di Sergio Bramini, imprenditore brianzolo fallito per colpa dello Stato che non gli saldava le fatture.

“Chi fa affari sul mercato delle aste impone ribassi del valore di vendita degli immobili spesso contrastati dagli stessi avvocati delle banche” ha spiegato Pastore a Panorama “e 100 di valore immobiliare può essere messo all’asta fra 90 e 65, mentre prima della nuova legge veniva prudenzialmente battuto a 110. Su questa valutazione dell’immobile è intervenuta la norma del centrosinistra che permette un’offerta già nella prima asta inferiore di un altro 25 per cento al valore di base.

Il caso ha portato alla cosiddetta “norma Bramini” del 2018, che cerca di difendere almeno le prime abitazioni delle famiglie. Ma la situazione resta complicata per chi si trova in difficoltà. Con le nuove norme, al consulente non viene più chiesto di indicare al giudice il valore di mercato dell’immobile, ma di calcolare anche quello di realizzo e quello di realizzo decurtato. Le norme hanno reso più vincolante l’utilizzo di un software di proprietà di società private, accessibile dal sito del processo telematico. Si riducono i tempi ma anche la discrezionalità delle stime                                                                              fonte https://www.ilparagone.it