L’Italia di sperperi e sprechi

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la Bengodi delle società partecipate Condivido con voi questa interrogazione parlamentare.

LANNUTTI , LEONE , LEZZI , TRENTACOSTE , PIRRO , NATURALE – Ai Ministri dello sviluppo economico, per gli affari regionali e le autonomie e dell’economia e delle finanze. –
Premesso che:
in Italia ci sono 7.090 società partecipate, di cui 5.768 a tutt’oggi in attività, che danno lavoro a 327.807 persone. Sono di proprietà di Regioni, Comuni, città metropolitane, occupandosi dai trasporti ai servizi, dai rifiuti all’acqua, svolgendo perfino attività creditizia;
nell’ultimo rapporto della Corte dei conti si legge: «La gestione finanziaria dimostra una netta prevalenza dei debiti sui crediti in tutti gli organismi esaminati. Nel complesso, i debiti ammontano a 104,41 miliardi, di cui circa un terzo è attribuibile alle partecipazioni totalitarie. La gran parte di tali debiti è stata contratta dalle partecipate del Nord Italia (il 74 per cento), con una forte concentrazione in Lombardia (26,5 miliardi), Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna (rispettivamente: 12,71 e 8,89 miliardi). Tra le Regioni del Centro, spiccano gli organismi del Lazio (11,28 miliardi) e, nel Meridione, i valori più elevati si registrano in Campania e Sicilia (3,87 e 3,24 miliardi)»;
sempre la Corte dei conti sostiene che «dagli esiti della revisione straordinaria emerge che il 37,35 per cento versa in condizioni da richiedere un intervento di razionalizzazione da parte dell’ente proprietario»;
le società partecipate fanno un massiccio ricorso agli affidamenti diretti, con buona pace delle gare competitive. «Nonostante la rigidità dei presupposti per derogare ai principi della concorrenza, su un totale di 15.139 affidamenti, le gare con impresa terza sono soltanto 828 e gli affidamenti a società mista, con gara a doppio oggetto, 146», scrive la Corte dei conti. Affidamenti fatti attraverso i contratti di servizio, derogando sia al principio della competizione che a quello dell’efficienza;
considerato che:
secondo la Corte dei conti, «in numerosi enti, assumono un posto di rilievo le partecipazioni in società che operano quale centro di coordinamento ed attuazione dell’attività finanziaria promossa dalle Regioni e che, gestendo ed erogando fondi propri, fondi pubblici o fondi da reperire sul mercato anche attraverso la promozione di strumenti finanziari innovativi, si pongono quali organismi intermedi per la realizzazione di specifici programmi (Molise, Campania, Liguria, Lombardia, Veneto). Le Sezioni del controllo hanno, sul punto, rilevato che la devoluzione a società partecipate dell’attuazione delle politiche di sviluppo regionali (Molise, Veneto, Lombardia) ha sottratto al controllo della Regione un notevole flusso di danaro e ha consentito un ampliamento di funzioni e attività che, in alcuni casi, esulano dall’oggetto sociale della partecipata (Campania)»;
ci sono molti casi di duplicazione di attività svolte da più società partecipate della stessa Regione, soprattutto nei settori delle forniture e dei servizi informatici (Molise), del trasporto pubblico (Sicilia), dei servizi aeroportuali (Sicilia), autostradali (Valle d’Aosta), delle attività finanziarie e di quelli di prestazione di servizi (Sicilia);
inoltre, a quanto risulta agli interroganti:
secondo quanto stabilito dall’allegato “A” al TUSP, art. 24 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016) dovrebbero essere liquidate o razionalizzate (fuse o incorporate) tutte quelle partecipate che: vantano un risultato d’esercizio negativo conseguito per quattro volte nel quinquennio precedente; abbiano come oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente proprietario; risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; abbiano partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a 500.000 euro;
nonostante ciò, gli enti territoriali hanno salvato sette società su dieci. Nonostante «su un totale di 4.603 società interessate dalla revisione, 1.719, il 37,35 per cento del totale, versano in almeno una delle situazioni che richiederebbero un intervento da parte degli enti proprietari», secondo la Corte dei conti. E che ci sono addirittura 119 società partecipate che non svolgono servizi di interesse generale e che presentano tutti e tre i profili di criticità,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza del rapporto della Corte de Conti e conseguentemente, della situazione, a parere degli interroganti, fuori controllo;
se intendano garantire il rispetto della legge vigente, spingendo gli enti locali a chiudere le partecipate fuori dai parametri di legge e accorpare i doppioni;
se intendano impedire l’uso massiccio agli affidamenti diretti da parte delle società partecipate;
se intendano impedire, finalmente, la promozione di strumenti finanziari da parte delle società partecipate.