Lo stile Sardine per demonizzare Trump

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È interessante costatare quanto spazio il Financial Times dedichi a una permanente e convinta campagna antitrumpiana: tra le diverse prese di posizione ospita anche, il 7 febbraio, un editoriale di uno degli strateghi politici della vittoria di Bill Clinton nel 1992, James Carville. La prima cosa che lo “stratega” vuol mettere in chiaro è che i partiti “exist to win elections. Without power, they are nothing” esistono per vincere le elezioni. Senza potere non sono niente.

E come si fa a vincere? Come nelle suppletive della Camera nel 2018 “By running a diverse coalition of candidates — young, black, brown, women, gay, straight — with one basic message: while the president gets things done only for himself, we are going to get real things done for you” mettendo insieme una coalizione di candidati – giovani, neri, colorati, donne, gay, eterossessuali- uniti da un messaggio: mentre il presidente fa solo cose per se stesso, noi ci occupiamo delle cose reali da fare per te. “We don’t win running on mile-high fantasies” non si vince correndo dietro a supersoniche fantasie. “Listen to Michigan governor Gretchen Whitmer’s response to the president’s State of the Union address this week. She talked about roads, drug prices and school funding”. Ascoltate la risposta del governatore del Michigan Gretchen Whitmer al discorso sullo Stato dell’Unione di Donald Trump: lei parla di strade, prezzo dei prodotti farmaceutici e di risorse per finanziare le scuole.

Insomma l’idea di Carville è che Trump si batte con un metodo alla Stefano Bonaccini: facendo demonizzare il presidente in carica (egoista e un pericolo per la democrazia) da Sardine come James Comey, il New York Times (e il Financial Times) o la Cnn, e occupandosi pragmaticamente di cose elementari, costruendo insieme una coalizione basata sul privilegiare certe aree etniche o caratterizzate da particolari preferenze nei gusti sessuali.