L’OLANDA NON PUO’ DARCI LEZIONI

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distefan

Nel luglio 2019 Roberto Rustichelli, presidente dell’Autorità garante del mercato e della concorrenza (Antitrust), ha sottolineato come “la concorrenza fiscale nella UE mina la fiducia nel mercato unico e penalizza l’Italia”: la stima del danno per il nostro paese sarebbe tra 5 ed 8 miliardi di dollari l’anno. Se alcuni Paesi ci perdono, altri ci guadagnano, visto che i gruppi multinazionali – inclusi ovviamente alcuni italiani – reagiscono alla concorrenza fiscale localizzando “intelligentemente” parte della loro struttura, inclusa la sede legale e/o fiscale, proprio nei Paesi europei con una tassazione più favorevole, tra i quali primeggia l’Olanda.
Nel marzo 2018 un parlamentare europeo olandese, Paul Tang, dei laburisti del PvdA, riuscì a fare approvare una mozione (408 a favore, 205 contro) in cui si chiedeva alla Commissione ed al Consiglio di aggiungere alcuni paesi europei, tra cui l’Olanda, all’elenco dei paradisi fiscali dell’UE.
L’Olanda chiede rigore ma sottrae entrate tributarie agli altri Paesi europei. In Olanda non sono tassati dividendi e royalties generati da imprese straniere operanti in loco. Solo il 4% del reale volume d’affari risulta imponibile ai fini fiscali. Secondo un rapporto della competente commissione del Parlamento Europeo infatti, le politiche fiscali olandesi sarebbero responsabili di una erosione di introiti fiscali pari a 11,2 miliardi di Euro, a danno degli altri Stati Membri, contribuendo così all’impoverimento di quegli stessi “partner” sui quali vorrebbe imporre le proprie lezioni di vita.
Il Tax Justice Network ha collocato l’Olanda al 4° posto tra i paesi del Corporate Tax Haven Index, che elenca i più significativi paradisi fiscali per le multinazionali. Dopo le Isole Vergini Britanniche, Bermuda e Cayman ci sono i Paesi Bassi (https://www.corporatetaxhavenindex.org/in…/cthi-2019-results).
Nel rapporto 2017 di Eurodad, solo 2 paesi non hanno fornito alla Commissione Europea i dati sugli accordi di tax ruling stipulati con le singole società multinazionali: Olanda ed Austria. Nel 2015, l’Olanda ha stipulato 235 contratti (tra unilaterali, bilaterali o multilaterali), 203 l’anno prima. In questa classifica, 2 paesi precedono l’Olanda: Lussemburgo e Belgio (con 519 e 396 accordi, rispettivamente).
Secondo il Sole 24 Ore l’Italia attrarrebbe investimenti esteri diretti pari al 19% del PIL, il Lussemburgo per oltre il 5.766%, l’Irlanda il 311% e l’Olanda, badate bene, il 535%. Come? Grazie alle 15mila società “bucalettere” lì registrate che permettono un transito di denaro da 4.500 miliardi di euro all’anno, 6 volte il PIL.
L’Europa rischia l’implosione se non adotterà un metodo di cancellazione o limitazione sui propri paradisi fiscali interni. Si dovrà (potrà? vorrà?) porre rimedio alla mancata armonizzazione fiscale, mettendo mano alla proliferazione di società “speciali” (shell companies) che rappresentano un perfetto veicolo di evasione, elusione, corruzione, lavoro nero o riciclaggio. Ed ecco il bivio: non fare nulla e guardare la progressiva disgregazione politica e sociale europea, o agire velocemente con politiche fiscali di armonizzazione e rigetto del dumping.
Tutto interesse dell’Italia è che l’Europa ponga fine alla concorrenza sleale che penalizza il nostro network di aziende, che come sappiamo è costituito in maggioranza da piccole e medie imprese.
Tutto interesse dell’Olanda è interrompere questa grottesca difesa oltranzista dell’austerità a fronte di ciò che vi ho appena descritto.