“L’ultima fila in alto”

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Vede un corpo a terra, il viso è tutto sporco di sangue, irriconoscibile.
tratto da “L’ultima fila in alto”

Gianluca Bordiga è l’autore de “L’ultima fila in alto”, libro autobiografico di prossima uscita, che nella prima parte narra la storia colma di gioia e di strazio della sua famiglia d’origine, e nella seconda parte racconta nei particolari le fasi della sua voluta perseveranza nell’impegno pubblico in difesa del patrimonio ambientale del Lago D’Idro e del suo Bacino imbrifero del Chiese. La storia della famiglia d’origine, come detto, è alternata tra episodi molto dolorosi e altri di felicità, ma sempre composta. Il figlio più grande, fratello dell’autore, nell’80 non ha ancora l’automobile; lavora e lo stipendio, senza difficoltà perché sono cresciuti tutti con questo valore della massima unione famigliare, viene sempre consegnato in famiglia. Il papà non ha più la forza di un tempo, ha dovuto smettere di lavorare; l’economia di famiglia è precaria, ciò che fanno i figli è divenuto fondamentale per vivere dignitosamente, ma non è ancora il momento di acquistare l’automobile. Per cui Danilo, il figlio più grande, che ora ha ventitre anni, senza lamentarsi si muove sempre con i vari amici. La vita scorre serenamente. È giugno, è sabato sette, Danilo e amici concludono la serata nella pizzeria del paese, Joselito; al momento di andare a casa, Giulio gli dice, ti porto io, Danilo. E lo lascia dirimpetto all’abitazione, dall’altra parte della strada. L’abitazione è sulla strada principale, che è dritta e invita a correre, è ancora più invitante di notte; è passata da circa un ora la mezzanotte, dal ponte vedono spuntare una macchina, è distante trecento metri, Danilo scende e si salutano con Giulio “ciao, ci vediamo domani”. E Giulio parte. Solo il giorno dopo saprà cos’è accaduto, non ci crede. Dalle ricostruzioni delle indagini s’è capito che Danilo vede arrivare l’automobile, che arriva a forte velocità, la strada a quell’ora di notte è deserta, Danilo aspetta guardando la macchina, la macchina, una Miniminor color panna con a bordo quattro persone, che lo conoscevano, lo investe a sinistra, cioè giù di mano. La botta è fortissima, Danilo viene sbattuto a più di trenta metri di distanza. Il suo corpo rimbalza addirittura contro il muretto della casa dei Manzoni e rotola per altri dieci metri nel passo carraio a fianco di quella casa. Una donna, Nunzia, parrucchiera, abita dirimpetto alla casa della famiglia di Danilo, sta tornando da un matrimonio e mentre infila la chiave nella porta per aprire sente quella forte botta ma sorda; allora torna sulla strada, ma non vede nulla di particolare, vede solo una automobile molto più avanti, ferma davanti al distributore di benzina dei Brugnoni, che è circa duecento metri più avanti; ci sono delle persone vicino all’automobile. Nunzia pensa che il forte rumore sordo sia stato strano, allora cammina per un tratto lungo la strada per avvicinarsi all’automobile. Mentre cammina, a un certo punto sente un gemito nel buio, proviene da quel passo carraio in fianco ai Manzoni, lo percorre a piano, è buio forte, vede un corpo a terra, il viso è tutto sporco di sangue, irriconoscibile. Nunzia gli chiede “chi sei?”. Il corpo a terra risponde “sono Danilo”. Nunzia capisce tutto, va sotto la casa dei suoi genitori, Nato e Fiore, chiama, grida, tira i sassi sulla finestra, chiama “Fiore, Nato scendete, vostro Danilo…” Si sveglia anche Gianluca. La mamma, Fiore, scende disperata, ha capito subito che è successo qualcosa di molto brutto. Il papà, Nato, non riusciva più ormai da tanto tempo a camminare, non può muoversi. Scende anche Gianluca e vede suo fratello a terra. Si sveglia tutta la gente attorno, si affacciano alle finestre, quattro vicini di casa sono volontari dell’Ambulanza, Antonio, i fratelli Gianni e Armando, e Martino. Dei testimoni alla finestra hanno visto che l’automobile è stata spostata, dal lato sinistro della strada l’hanno messa sul lato destro. L’Ambulanza prende immediatamente Danilo e parte senza aspettare nessun famigliare, non c’è tempo, si capisce che è troppo grave.

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